Prosa
MOLLY SWEENEY

QUANDO IL BUIO VA IN SCENA …

QUANDO IL BUIO VA IN SCENA

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QUANDO IL BUIO VA IN SCENA Il teatro di valore è sempre pronto al rischio, non soltanto nei confronti dello spettatore, che deve essere perturbantemente spiazzato e che deve percepire lo smarrimento dell’esperienza teatrale, ma soprattutto nei confronti dello spettacolo stesso e delle pratiche sceniche alla sua base. L’artista del teatro, quello che lavora sulla scrittura scenica e che quindi crea un linguaggio originale dal quale far scaturire un possibile contenuto, deve affrontare con coraggio il pericolo della scena. È questo il caso dell’ultimo lavoro di Andrea De Rosa, Molly Sweeney, tratto da un’opera di Brian Friel, che è stato messo in scena al teatro Mercadante di Napoli, con la collaborazioni di buoni interpreti quali Umberto Orsini, Valentina Sperlì e Leonardo Capuano. De Rosa gioca, ancora una volta felicemente, con lo spazio scenico annullandolo, nella prima parte dello spettacolo, in una dimensione di buio totale e riformulandolo, nella seconda parte, attraverso una fioca luce. La storia è quella della cecità di una donna, vissuta con dignità e cognizione e della sua guarigione, foriera di delusioni e disgrazie. La giovane Molly perde la vista a dieci mesi, ma si costruisce una vita ricca di sensibilità e di curiosità verso il mondo, da lei percepito attraverso gli altri sensi, il tatto in particolare. Pur vivendo una vita autosufficiente, decide successivamente di sposarsi con Frank, un intraprendente commerciante, che la convince a sottoporsi ad un intervento chirurgico per riacquistare la vista. Malgrado l’operazione abbia scarse possibilità di riuscita, Molly recupera parte delle proprie capacità di vedere, ma perde tutta la sua vita precedente, fatta di visioni filtrate dalle percezioni del suo corpo, cadendo definitivamente nell’autismo e segregata in una clinica psichiatrica. Prima dell’operazione che riporta una flebile luce in scena, gli spettatori sono invitati a guardare con gli occhi malati di Molly e a leggere il buio che li circonda, sono sollecitati a sviluppare altre capacità sensoriali per cogliere la realtà, per orientarsi, per sopravvivere. I tre attori si muovono abilmente lungo i corridoi della platea, raccontato la loro storia e sospirando la fatica della vita, senza mai fare incrociare i loro discorsi, ma costruendo una drammaturgia costruita su tre monologhi al buio. Dopo l’operazione, il buio sparisce, ma sparisce anche la capacità di leggere la realtà ed il senso che i personaggi davano alle cose della propria esistenza. La luce porta la disperazione di Frank, che non riesce a sostenere la visione della moglie malata, fuggendo via, e la sconfitta professionale del dottor Rice, che aveva operato gli occhi di Molly con grandi speranze per la sua carriera. Passando dal nero del buio al bianco della luce colpisce, in una scenografia minimalista caratterizzata da pochi oggetti di scena – un tavolo, alcune sedie, una poltrona – la presenza del colore rosso, che segna la figura di Molly nei capelli, nell’abito e nei fiori che riconosce attraverso l’olfatto; un rosso che si carica di orrifica sorpresa nell'inaspettata e bellissima scena di chiusura. In una storia tragica capace anche di raccontare una lezione di estetica teatrale, Andrea De Rosa ha saputo fare del personaggio di Molly una metafora della scena: capace di far leggere la realtà senza farla vedere, di far entrate gli spettatori nella dimensione altra del fatto scenico, di mostrare l’invisibile, come raccontava qualche decennio fa Peter Brook. Teatro Mercadante - Napoli, 26 novembre 2008
Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)