Danza
PORTRAIT DE FRéDéRIC TAVERNINI

Portrait: Frédéric Tavernini danza i segni di una vita

Portrait: Frédéric Tavernini danza i segni di una vita

Siamo segni senza significato”, scriveva a metà del secolo scorso Martin Heidegger. A guardare sulla scena Frédéric Tavernini, già interprete per Maurice Béjart, Mats Ek, Trisha Brown, la sensazione procede invece in direzione diametralmente opposta. Portrait, in cartellone alla Biennale Danza 2020, su coreografia di Noé Soulier, in scena al pianoforte, sembra piuttosto raccontare che ogni vita altro non sia che un accumulo di segni. A cominciare dai tatuaggi.

Tatuaggi: geografia umana.

Tavernini occupa la scena da solo, i suoi gesti sono netti, precisi, il controllo su di essi è totale. Sono gesti semplici, che coinvolgono soprattutto braccia e mani, grandi ed espressive: evitare, colpire, gettare o afferrare. Sono gesti semplici e volutamente frammentari, e non è forse vero del resto che le esperienze della vita di ognuno si frammentano nella memoria, ogni volta che proviamo a tracciare la traiettoria delle nostre vite? Non sono forse questi i segni che puntellano le nostre esistenze? 


Sul corpo di Tavernini si declinano le tappe di una geografia umana intensa, tatuaggi che mescolano nomi, quello della figlia, schegge di caos sentimentale, l’immagine Guernica, nichilismo, il Cristo rovesciato, e la sofferenza dell’amore, un mezzo cuore di pietra. Tavernini ce li mostrerà alla fine, al momento di spiccare l’ennesimo passo in avanti nella sua storia personale, un movimento lento e quasi sofferente che conclude la performance.

Segni che significano

La ricerca di Soulier, complice una citazione di Agostino dal Doctrina Christiana, si sposta liberamente tra i segni: dai tatuaggi agli schizzi d’acqua con i quali in scena Tavernini gioca come un bambino in riva al mare, dal pugno vigoroso sollevato più volte come un’ancora di salvataggio alle luci che delimitano spazi simbolici. 


Tavernini segue con attenzione se stesso, aderisce a ogni singolo movimento con assoluta precisione, sembra entrare e uscire continuamente dai passi canonici della danza, accetta e rifiuta, appare e scompare. 

Quaranta minuti intensi e al tempo stesso estremamente delicati, un atto d’amore alla propria vita e a tutti i segni che essa ha lasciato sul suo corpo, ma soprattutto nella sua anima.

Visto il 18-10-2020
al Tese dei Soppalchi di Venezia (VE)