C’è qualcosa di potente ed evocativo a colpire l’emotività dello spettatore quando si alza il sipario su questo Prometeoedio, rilettura approfondita della tragedia di Eschilo e rappresentazione di un mondo titanico in cui dei e uomini si scontrano come padri e figli. Sarà per l’impatto della scenografia, un’impalcatura modulare a più piani, su un fondale surreale e mutevole, o per l’energia fisica del protagonista, Gianmaria Martini, a suo agio nel difficile ruolo di stare incatenato al centro della scena per tutta la durata della pièce. Sarà, in generale, per la riuscita di una resa emotiva di grande tensione, a partire dalle figure introduttive del personaggio di Violenza – Bia, del deforme Efesto, proseguendo per un’efficace sintesi della polivocalità del coro delle Oceanine in un unico attore, peraltro di sesso maschile.
L’impatto dell’allestimento
Tutti questi elementi certo concorrono a determinare la riuscita di una regia efficace e studiata nei minimi dettagli, com’è appunto quella di Emanuele Conte. Gli effetti di luce e buio, con uso sapiente delle luci della platea, gli incantevoli costumi (a partire da una splendida Io in abiti di cordame, senza poter dimenticare il magnifico “strascico di schiuma” di Efesto) non possono essere trattati alla stregua di meri elementi accessori, quanto vere e proprie elaborazioni artistiche a partire da una recitazione curata e d’effetto, con esiti particolarmente felici per la fanciulla/giovenca Io, pungolata dal tafano e per il crudele Ermes, messaggero e ambasciatore di Zeus.
Padri e figli
In questa cornice suggestiva, che trasporta lo spettatore in un vero “aldilà” narrativo lontano dal mondo reale in cui è calato, si svolge una storia ricca di pathos e richiami psicanalitici che davvero ci rimanda ad Aristotele e alla funzione catartica della tragedia. In un mondo senza pace e pietà, in cui padri e figli sono destinati a scontarsi fino alla morte per sopraffarsi gli uni con gli altri, impotenti come sono tutti dinanzi al destino, l’unica luce di speranza è portata appunto dal titano Prometeo che, in un afflato di reale amore per l’umanità, dona agli sventurati uomini il fuoco per permettere loro di progredire nella sete di conoscenza.
Riscritture e richiami
Ricco di richiami cristologici e cristiani, da Goethe ai Vangeli, questo Prometeo così “incatenato” e simile al Gesù crocifisso, in aperta antitesi con il padre Zeus, secondo la dialettica che Sofocle leggerà così approfonditamente in Edipo, sceglie alla fine di farsi uomo e in questa incarnazione trovare, al contempo, la bellezza e la vita: come a dire che nella fragilità di ciò che è temporaneo e caduco, si trova la speranza di vera bellezza, di reale pace.