Due strutture in ferro e plexiglass, cupe come catafalchi, rappresentano le dimore dei Capuleti e dei Montecchi. I nomi delle casate vengono graffitati sulle superfici trasparenti con un pennarello rosso, lo stesso utilizzato per street art e scritte indicative del percorso che porta Giulietta a diventare grande nel giro di soli quattro giorni e Romeo a trasformarsi in spietato vendicatore. Campionata e cantata dal vivo, la struggente serenata presa a prestito a De Andrè si fa ritmo martellante durante la festa in discoteca, poi si declina nello Stabat Mater in latino, nei momenti antecedenti il dramma. Un’impostazione che restituisce al testo la collettività di situazioni che le è propria, generata dalla coralità delle figure, tutte rivestenti ruoli chiave.
Andrea Baracco indaga la psicologia dei personaggi, frutto della stratificazione tra le leggi dettate dalla borghesia e la sfera emozionale. Il disegno registico si mantiene in bilico tra la fedeltà all’originale e la traslazione atemporale, dal vigore spiazzante. Lo spettacolo si cinge di un’aura che turba ma anche disturba, che suggerisce domande sull’uomo, come se l’elastico della tensione emotiva fosse perpetuamente teso, allentato e nuovamente teso fino al punto di rottura nel dubbioso pubblico; fino al raggiungimento del mix funambolico che incarna il concetto shakespeariano di fool.
In questa produzione il fool è Mercuzio, cui è restituita la primigenia importanza. I suoi monologhi e dialoghi, splendidi nella traduzione di Salvatore Quasimodo, sono ibridati di doppi sensi, presenti nelle pagine del Bardo e ora sospinti all’eccesso dalla gestualità licenziosa. Alessandro Preziosi ha presenza scenica magnetica e un approccio forte, con cambi di registro repentini, tarati su quella forma di pazzia estrosa, vivace, imprevedibile, giocosamente drammatica da fool shakespeariano doc. Il suo Mercuzio è asessuato, maschile e femminile al contempo; mostra insofferenza per l’amore e lo deride; prova per gli amici un sentimento che travalica il cameratesco e assume contorni morbosi; non è appagato dal dettare il corso degli accadimenti ma vuole possedere le persone stesse. Ruolo di deus ex machina, di duce nel senso latino di condottiero, che la regia gli conferisce anche dopo morto, quando il suo corpo viene appeso per i piedi in un’immaginaria - fool - Piazza Loreto, oppure quando si reincarna nello speziale che vende il veleno a Romeo, ricoprendo il significato protagonistico mancato all’appannato Frate Lorenzo (Gabriele Portoghese).
Lucia Lavia possiede maturità artistica sbalorditiva, se rapportata alla giovane età. Il minuzioso lavoro di costruzione del soggetto, conduce Giulietta in balia di opposte forze, la spontaneità da un lato e le regole sociali dall’altro. Il tormentato conflitto interiore porta alla perdita della spensieratezza, prima ancora che questa possa essere vissuta. A completare la triade d’eccellenza Antonio Folletto, instancabilmente esuberante, di commovente freschezza, di sincera spontaneità nei panni di Romeo la cui capacità d’interazione, di relazionarsi agli altri, diviene il personaggio medesimo. L’amore tra i due è vissuto sempre a distanza, anche nella notte di nozze. Ma nell’ultima scena il regista Baracco si concede una libertà e, mentre gli innamorati fumano una sigaretta attendendo la morte con inconsapevolezza adolescenziale, regala loro lo sfiorarsi di un ultimo, malinconico sguardo.