L'atto unico Salomè, scritto da Oscar Wilde nel 1893 in lingua francese, è poco rappresentato in Italia, forse anche per la sua natura letteraria che lo avvicina più al poema che a un testo da rappresentare a teatro.
Il testo è incentrato sulla figura di Salomè, figlia di Erodiade, moglie del fratello di Erode la cui storia è riportata nei Vangeli di Marco e Matteo che non ne fanno però il nome, riportato da Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche.
Nella versione di Wilde la figura femminile di Salomè è accostata alla simbologia lunare dei miti orientali, che vogliono il femminile capace di rendere folli, come la luna shakespeariana, la femme fatale per la quale l'uomo perde la testa, letteralmente, visto che Salomè ottiene dal patrigno Erode la testa di Iokanaan su un piatto d'argento per poterne baciare le labbra.
Ferdinando Bruni e Francesco Frongia antepongono all'atto unico un prologo nel quale, in un ambiente da fiera parigina fin de siècle, quando il cinematografo era presentato come meraviglia, tra la donna barbuta e i raggi Roentgen, Mavon Parker, che incarna gli amanti di Wilde che al processo per sodomia testimoniarono contro di lui mandandolo in carcere (ma il vero Sidney Mavor, quando depose, affermò l’innocenza di Wilde), invita il pubblico a seguire lo spettacolo come il più classico degli imbonitori. Beh non così classico: Mavon veste dei vertiginosi collant su un pantaloncino nero attillato e pieno di strass indossando un paio di stivali fino al polpaccio, dal tacco alto.
Ambiguità da baraccone più che ispirazione al teatro elisabettiano, tutti i ruoli del testo di Wilde (ridotti all'essenziale) sono interpretati da soli attori: Enzo Curcurù, oltre Mavin, intepreta un soldato siriano che si suicida, pazzo di gelosia per Salomè ed Erodiade, madre di Salomè; Ferdinando Bruni interpreta Oscar Wilde, Iokanaan ed Erode, mentre il giovanissimo Alejandro Bruni, in reggiseno con pendenti e slip attillato rigorosamente dorati, è una sensuale, impertinente e libidinosa Salomè.
La messinscena si rifà in qualche modo al fim di Ken Russel Salomè's Last Dance (GB, 1988) e, soprattutto per certa iconografia, a Moulin Rouge di Buz Luhrman (Usa, 2001).
Tra le fantasmagorie dell'introduzione c'è anche la proiezione (video) di un filmato animato che ha gli stessi segni grafici e gli stessi disegni del film di Luhrman, in una rivistazione post-moderna della grafica fin de siècle che accomuna film e pièce.
Queste due coordinate testuali servono a Bruni e Frongia per connotare una messinscena arguta che si costituisce come sovratesto a quello di Wilde.
Lo scandalo col quale Wilde, secondo i benpensanti, offese la società inglese di fine ottocento col proprio orientamento sessuale non conformato e che gli costò due anni di lavori forzati viene capovolto di significato dai due registi così che mentre Mavon presenta Wilde come un mostro è chiaro che ad apparire mostruosa è la società del tempo, che lo condannò.
A Bruni e Frongia non interessa ribadire l'orientamento sessuale di Wilde, quanto ricordare la punizione inflittagli per la sua omosessualità e lo fanno inserendo nel testo della Salomè alcuni brani tratti dal De profundis la lunghissima lettera che Wilde scrisse nei primi mesi del 97, in carcere, al suo amatissimo Bosie (Alfred Douglas) e da La ballata del carcere di Reading scritto da Wilde sempre nel 97, ma dopo la scarcerazione. L'operazione di riscrittura è stata eseguita in una maniera così intelligente ed equilibrata che gli inserti sembrano parte integrante del testo originale.
Wilde compare nel prologo con Mavor, e poi, durante la Salomè, in alcuni a solo, durante uno dei quali la rappresentazione per così dire si congela e Wilde rimane l'unico personaggio illuminato.
Bruni e Frongia propongono una messinscena dal forte gusto camp senza farne uno spettacolo di militanza gay. Se la Erodiade interpretata da Curcurù ha tutti gli eccessi del femminino immaginato dagli uomini la Salomè di Alejandro Bruni è misuratissima e femminile. La sua forza drammaturgica sta nel divario tra un personaggio femminile il cui eccitamento se(n)suale sono squistamente femminili e come tali restituiti dall'interprete mentre la sua procace fisicità ne denunica, al momento stesso che le interpreta, la propria natura maschile. Cosìcchè senza negare la femminilità o senza darne una versione maschile (maschilista?) come, per esempio, nel caso dell'efebico Tadzio nel film di Visconti, la Salomè di Alejandro Bruni è al contempo l'apologia della donna (secondo Wilde) e del corpo maschile.
E proprio il fatto che a interpretarla sia un uomo svuota di senso la misoginia di fondo che vuole la femminilità numinosa per l'uomo (e ragione prima per un'impossibile messa in scena contemporanea) e ne fa invece un simbolo di liberazione e di rivendicazione. Proprio per questo a differenza del testo originale nel quale muore schiacciata dagli scudi delle guardie di Erode, Salomè qui rimane in vita mentre spiega le ragioni della sua vendetta al corpo inerte di Iokanaan.
Lavoro elegante, colto ma senza vantarsene, L'ultima recita di Salomè è un ottimo debutto, in prima nazionale, per il mese monografico che il Valle dedica alla Elfo/Teatridithalia la compagnia milanese guidata da Ferdinando Bruni e Elio De Capitani.