Prosa
SI J'AVAIS SU J'AURAIS FAIT DES CHIENS

Il tema della guerra. Ancora …

Il tema della guerra. Ancora …
Il tema della guerra. Ancora una volta. Vite spezzate di giovani, vecchi, di famiglie intere. Testimonianze reali che si trasformano in pièces di teatro perché, ancora una volta, il Teatro si rivela l’arma migliore per mettere a nudo ferite profonde e costringere il pubblico più vasto a confrontarsi con realtà scomode. Come quelle delle kapò. Un regista italiano le portò sul grande schermo, con il film omonimo, spietato. Sul piccolo palcoscenico del Teatro Francese di Roma ci riprova un drammaturgo francese contemporaneo che ha preso un testo proprio, coraggioso e forte, lo ha adattato e messo in scena. “Se l’avessi saputo avrei fatto dei cani”... invece che dei figli, pensiero sottinteso della madre Patatras, frase manifesto della storia. Spaccato felice ( ?) di una famiglia proletaria di una qualche regione francese con marito, moglie e due figli. Questi due ultimi sono destinati a deludere enormemente i genitori, finendo in prigione il primo, arruolandosi nell’esercito e partendo per la guerra la seconda. Il filo della storia viene preso in mano dalla figlia minore, Angeline, motore dell’opera, che con una prima persona singolare, feroce e senza filtri, racconta il proprio punto di vista. Tutto questo per capire, come dice l’autore, come fu possibile, anche storicamente, che una giovane donna potesse diventare un aguzzino feroce, degna delle miserie attuali di Guantanamo. Il testo è forte, sgradevole, non concede nulla. Detto, evocato senza particolari costruzioni attoriali dalla giovane attrice Anne-Cecile Gasmi, costruisce una figura femminile sfortunata prima ancora che cattiva, vittima prima ancora che carnefice, figlia e poi madre, che ricommette gli stessi errori della propria genitrice. Lucida nella sua fuga, incosciente nel suo tuffo negli orrori quotidiani del suo “lavoro” di sorvegliante dei prigionieri. Paga un prezzo alto e chiude il cerchio tornando a fare la vita da cui era partita. Straordinariamente meschina la coppia dei due genitori, rigorosamente sullo sfondo e ben tratteggiati dalla D’Andrea e da Movawad : a essi spetta la voce ‘a parte’ che interrompe costantemente la biografia raccontata dalla protagonista, a essi va una delle scene migliori, davanti al giudice di guerra, con un taglio obliquo che taglia via dai volti qualunque traccia di consapevolezza o pentimento per scavarvi profonde ombre di ignoranza e sbigottimento di fronte ai crimini della figlia. Figura quasi solo evocata, in qualche modo simbolo di questo viaggio senza ritorno delle miserie umane e famigliari, è quella del fratello maggiore Silas, un buon cameo di Andrea Peghinelli, che presta la sua voce e un rapido coinvolgente monologo finale sulla sorte della sorella, di cui è forse l’unico a preoccuparsi : “Non lasciate che le vostre sorelline finiscano nella spazzatura!”. La messa in scena gioca il suo punto di forza nella separazione dello spazio e di una scenografia ridotta al minimo, che si limita ad evocare i settori di appartenenza dei personaggi : il salotto dove i genitori inebetiti continuano a guardare la televisione ; la “cucina” di Angeline, di volta in volta campo di prima linea, prigione e rifugio della giovane ; luci disposte a caso, solitarie, che tagliano lo spazio intorno alle figure e le lasciano ancora più sole. Roma - Teatro Francese di Roma 3 febbraio 2007
Visto il
al Francese di Roma di Roma (RM)