Nel 1889, convinto di dover redigere una seria guida turistica sulle bellezze naturali del Tamigi, l’autore Jerome K. Jerome fu convinto a tagliare il suo lavoro in una versione più scorrevole, che di fatto si convertì in un romanzo che a distanza di più di un secolo è ancora una pietra miliare nella letteratura, soprattutto per ragazzi. Le avventure dei tre sconclusionati protagonisti, Jerome, George ed Harris (per tacer appunto di Montmorency, il cane) in gita di piacere a bordo di una barca veleggiante per il Tamigi vengono sciorinate con scioltezza e humour assolutamente british, condite con appassionanti nonché esilaranti aneddoti dedicati ai posti visitati, ma anche ad incontri galanti e particolari vicissitudini lungo la via.
Il regista Matteo Ziglio coglie immediatamente queste caratteristiche e ne propone una riduzione teatrale dai risultati rimarchevoli: nello spazio neutro ma ampio del teatro Abarico si apre una scena composta di parti smontabili tra di loro, che paiono ricordare di volta in volta un sofà, una cassapanca, elementi adatti insomma a un soggiorno o a un interno, ma che, a un dato segnale, a un dato momento, si ricompongono mirabilmente a formare il disegno perfetto della barca, a bordo della quale i nostri quattro protagonisti passano buona parte del loro tempo.
Il regista coglie e riassume l’aspetto essenziale del testo e della sua messa in scena nel divertimento: pensato in effetti come un divertissement letterario, questo tratto viene conservato anche in questa trasposizione. È la mobilità estrema di situazioni, parole, tempi comici e registri lirici, a costituire il solido scheletro su cui si innestano le interpretazioni dei quattro giovani attori impegnati in questa corsa folle su e giù per il ‘Tamigi’. Dagli aneddoti su uno zio tanto severo quanto imbranato, alle curiose avventure che possono capitare in un cimitero o in un labirinto, passando per goffi corteggiamenti, i quattro personaggi, come un caleidoscopio, si passano costantemente il colore e il testimone dell’azione. La scenografia di Alessandro Calabrese si rivela qui parte integrante dell’azione scenica, insieme al sottofondo musicale, appena ‘aggiornato’ agli anni Venti, e ai costumi che ne rispecchiano la ricerca accurata.
Gianantonio Martinoni, Franco Heera Carola, Vincenzo Muià danno volto e anima rispettivamente a Jerome, Harris e George, meritando giustamente il consenso del pubblico per le interpretazioni vigorose, ben variegate, dove trovano tutti e tre i tempi giusti di divertimento e di tecnica. Stesso discorso per Giordana Morandini che, oltre a ricoprire le varie “eroine” del racconto dell’autore, offre un’eccellente prova nei panni del cane Montmorency, non privo di parola e arguzia quando occorre.
La stessa Morandini si rende protagonista insieme a Heera Carola, che la dirige, anche di una coreografia delicata e struggente nell’unico momento veramente impegnato della pièce, dedicato al ricordo di una donna incontrata già defunta, annegata nel fiume e da questi accompagnata nel suo ultimo viaggio.
Un’opera convincente insomma che rispetta in tutto e per tutto le atmosfere gioiose e incantate dell’estate inglese, anche se, di quando in quando, il ritmo forsennato di azione, battuta, e i cambi di tempo e situazione, possono paradossalmente distrarre lo spettatore dalle sfumature più ironiche e letterarie del testo, che meritano uguale attenzione. Conoscendo la doppia natura del mestiere e della regia di Matteo Ziglio, ugualmente versato in ambito cinematografico, viene forse da pensare che il palcoscenico teatrale sia in definitiva un po’ limitato per la sua visione.