Lo spettacolo “Un soggetto per un breve racconto“di Fabrizio Visconti si potrebbe considerare un suo gentile omaggio all’amato maestro Jurij Alshitz, regista russo che da diversi anni risiede a Berlino. Altrimenti risulta difficile capire la sua scelta di trasformare Nina Zarecnaya in un modello da seguire per aspiranti attrici. Un conto è provare una certa simpatia per un certo personaggio, e un’altro è farsene un mito.
Detto ciò non è difficile tracciare un parallelo tra la scelta del regista e la ben nota (almeno agli adepti) e del tutto rispettabile predilezione del Mº Alshitz per la popolare eroina de “Il gabbiano” di Cechov che ha avuto la sua maggiore conferma nel 2010, anno del 150º anniversario dalla nascita del celebre scrittore russo. Cercando di rendergli il doveroso onore, egli si è proposto come organizzatore di un piccolo festival informale che ha avuto luogo a Elez, una cittadina di provincia a 350 km da Mosca che Cechov non aveva mai visitato, ma che è stata resa in un certo senso famosa perché viene nominata alla fine dell’ultimo atto de “Il gabbiano” come il punto di destinazione di Nina Zarechnaya. L’evento, che aveva raccolto una cinquantina di partecipanti - per di più tra amici e allievi del regista – avrebbe dovuto concludersi addirittura con la posa di una statua a lei dedicata. Per questioni economiche ciò non avvenne. Ma se fosse avvenuto, sarebbe stato il primo e l’unico monumento al mondo a un’attrice non solo mai esistita, ma anche a un’attrice mediocre, come Cechov stesso l’aveva definita.
Sebbene ideato qualche anno prima dell’evento appena descritto, “Un soggetto” rimane un'indubitabile conferma del fascino che lo stridulo volatile marino continua a suscitare nel mondo teatrale. Da un secolo ormai, i suoi innumerevoli stormi, oltrepassando tutte le frontiere, si librano sopra i palcoscenici ammaliando i registi delle più svariate tendenze e correnti. Sicuramente Visconti – con alle spalle l’esperienza della scuola del teatro del Mº Alshitz e quella di Gitis, una delle più rinomate in Russia - non ha potuto resistere alla tentazione. Tuttavia, consapevole dell’arduità che tale compito richiede oppure considerandolo per ora un po’ fuori portata, ha deciso di accontentarsi di una variazione sul tema. A differenza delle molte altre già presenti (tra le più famose si possono sicuramente citare “The Nina Variarions” dell’americano Steven Dietz o “A Russian Trilogy”del sudafricano Reza De Wet) la sua non rappresenta nulla di concettualmente nuovo, sebbene non si possa negargli un approccio sicuramente innovativo. Prendendo in parola Cechov che, nonostante un finale tragico, definisce la sua fatica letteraria una commedia, Visconti crea un mono-spettacolo leggero, dalle note a momenti liriche, a momenti molto simili al cabaret. D’altronde , «Nuove forme ci vogliono, e se non ce ne sono, allora meglio niente» diceva Treplev (un altro protagonista della pièce che si suicida alla fine). E come non essere d’accordo?
A differenza de “Il gabbiano” di Cechov incentrato sul tema del teatro, “Un soggetto” vuole parlare dell’Amore. Sia di quello materiale, tra un uomo e una donna, che di quell’effimero e pericoloso per il mostro di nome teatro. Illuminato dalla luna rossastra di Treplev, tutto ruota intorno alla scelta che la protagonista (Rossella Rapisarda) è costretta a fare: tra il palco e un ipotetico Augusto al quale in mezzo alla sala è stata riservata una poltrona con tanto di scritta “Riservato”. E, visto che questi fino alla fine non si presenta, mentre il treno sta per partire, lei prende la sua decisione.
Fin qui è tutto chiaro. L’aspetto più difficile da capire è perché la cernita del regista sia caduta proprio sul personaggio di Nina. A meno che si tratti del caso clinico di una nervosi ossessiva causata dallo stress di recitare il decadente monologo su “uomini, leoni, aquile e pernici” – a declamare una simile accozzaglia di parole, a lungo andare, l’esaurimento verrebbe a chiunque - è logicamente inspiegabile la predilezione della protagonista per il personaggio di Zarecnaya. Come anima russa, rimane un mistero il perché, volendo dedicarsi al teatro, lei scelga come modello un personaggio universalmente conosciuto come un’attrice mancata che «recitava male, senza gusto, con toni eccessivi, gesti bruschi» (“Il gabbiano”, atto quarto). Probabilmente se n’era accorto anche Augusto e, stufo di sentirsi paragonato a Trigorin, ha preferito non farsi più vedere.
Come da promessa riportata sul volantino, lo spettacolo “scorre in modo semplice e aperto”, tra la lettura tarocchi, qualche numero di varietà e brevi intermezzi dedicati all’epistolario di Cechov. La protagonista, strada facendo, fa un brevissimo riassunto della trama originale de “Il gabbiano”, spiegando in poche parole “who is who”. Il pubblico si sente molto partecipe e, a un certo punto, sembra di assistere a una specie di provino al quale tutti possono prendere parte. Grazie al suo dono di immedesimazione, R. Rapisarda riesce a sembrare davvero una ragazza di platea appena salita sul palco. Forse anche per questo, vedendola partire per Elez, un’ignota cittadina russa, il pubblico alla fine la saluta con un caloroso applauso di incoraggiamento.