Dopo lo straordinario successo della scorsa stagione, Jannacci prosegue il racconto della sua Milano, luogo privilegiato dal quale gettare uno sguardo sui vizi e le virtù dell'Italia contemporanea.
«Il teatro per me è una fumisteria, è entrare in un film, un po’ vero e un po’ surreale».
E come definire altrimenti il nuovo spettacolo di Jannacci, ripresa e reinvenzione di quello che ha debuttato all’inizio della scorsa stagione ai Filodrammatici con il titolo, appunto, Teatro?
Il mondo dell’artista milanese, fatto di diseredati, senza tetto e poveracci, torna a popolare il palcoscenico, dando vita a un’emozionante magia teatrale, fatta di gesti, silenzi, parole e musiche.
Ricordo e attualità si inseguono, si rincorrono, si sovrappongono, entrando in scena come allegorie visive.
La satira più tagliente diventa denuncia di una società dove la voce del barbone solitario, con indosso le scarpe da tennis, è sovrastata da quella di chi rivendica in città più campi da tennis, da golf e da polo.
Una sezione ritmica (batteria, basso chitarra), il figlio Paolo al pianoforte e il suono malinconico di una tromba sono i compagni di viaggio di una voce inconfondibile del panorama artistico milanese e italiano, una voce che continua a sostenere fantasia, sentimento e pensiero come irrinunciabili diritti di tutti ed elementi fondamentali per dare un senso alla nostra vita.
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