Un Gesù improbabile quello ideato da Ascanio Celestini, che si confronta coi propri dubbi e le proprie paure. Vive chiuso in un appartamento di qualche periferia. Dalla sua finestra si vede il parcheggio di un supermercato e il barbone che di giorno chiede l’elemosina e di notte dorme tra i cartoni.
Con Cristo c’è Pietro che passa gran parte del tempo fuori di casa ad operare concretamente nel mondo: fa la spesa, compra pezzi di ricambio per riparare lo scaldabagno, si arrangia a fare piccoli lavori saltuari per guadagnare qualcosa. Questa volta Cristo non si è incarnato per redimere l’umanità, ma solo per osservarla. Nell’appartamento, questo Cristo contemporaneo, non vuole che entri nessun altro, ma è interessato a ciò che accade fuori.
Insomma non il Cristo che è vero “Dio e vero uomo”, ma un essere umanissimo fatto di carne, sangue e parole. Non sappiamo se si tratti davvero del figlio di Dio o di uno schizofrenico che crede di esserlo, ma se il creatore si incarnasse per redimere gli uomini condividendo la loro umanità (e dunque anche il dolore), questa incarnazione moderna non potrebbe non includere anche le paure e i dubbi del tempo presente.
Celestini è un affabulatore, un tessitore di storie che, come nessun altro, riesce a tenere assieme la critica sociale e il fantastico, l’ambizione di riscatto e l’iperbole comica, animando, con la nuda parola, un teatro che in realtà è densamente popolato di voci e personaggi.