Incontriamo il direttore artistico di Vicenza in Lirica, anima del Concorso Tullio Serafin: spazio ai giovani, ma anche ai grandi nomi della lirica. Così i primi possono imparare dai secondi.
Nativo di Cavarzere – paese natale del grande direttore Tullio Serafin – Andrea Castello è una delle figure più dinamiche del panorama musicale veneto. Lo incontriamo in vista della decima edizione del festival Vicenza in Lirica, che entrerà nel vivo ai primi di settembre.
Tuo padre, recentemente scomparso, gestiva una grande sala da ballo. Quindi sei cresciuto in mezzo alle note: cosa significa per te la musica?
La musica per me significa vita, come lo era per mio padre. Fino all’ultimo giorno lui ripeteva “la sala da ballo… la mia vita..." ed ho capito ancora una volta, grazie a queste sue parole, che ruolo importante possa rivestire in una persona. Fare musica per me è da sempre costruire bellezza, incrementando la tanta che possiede il nostro Paese. E dare opportunità di carriera ai giovani artisti, oltre che offrire preziose occasioni d'ascolto al pubblico.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Hai studiato canto, ed iniziato ad esibirti come basso-baritono. Nel 2012 hai presentato un liederabend addirittura a Vienna, a Schönbrunn. Cioè nella tana del lupo...
Per molto tempo ho organizzato eventi e nel contempo anche cantato, però arriva il punto che devi scegliere, altrimenti non fai bene nessuna delle due cose. Così ho optato per la prima. Mi piacerebbe fare comunque ancora qualche concerto - e ci sto pensando per il 2023 - ma visti i miei impegni non è facile. Certo cantare mi manca molto… è stato il mio primo amore. E il primo amore non si scorda mai.
Sei nato nel veneziano, sulle rive dell'Adige, ma vivi ed operi a Vicenza. Che rapporto hai con questa città?
Vicenza mi ha accettato, Vicenza mi gratifica, sebbene non sia una città facile, ed a volte si scorga una competizione poco costruttiva, musicalmente parlando. Però vado avanti con la mia professionalità, senza gelosie né rancori. Amo il mio lavoro, come amo questa città straordinaria, ricca di arte e di cultura, che credo abbia conosciuto meglio la musica e l’opera barocca grazie al nostro Festival.
Come sei arrivato a fondare e guidare l'Associazione Culturale Concetto Armonico?
Ho seguito i consigli della grande cantante ed amica Daniela Dessì, figura che mi manca molto. Lei mi spinse a concretizzare la mia vena di organizzatore, e ad utilizzare in primis il Teatro Olimpico, la nostra sede naturale. Ho creato Concetto Armonico nel 2011: Daniela fu ospite e madrina della serata di battesimo, e da subito socio onorario. Ruolo ora ricoperto da una regina del canto barocco quale Sara Mingardo.
Presiedi anche l'Archivio Storico intitolato a Tullio Serafin, costituito da te con gli eredi del maestro. Come è nato e che consistenza ha?
L’Archivio, nato nel 2018 per le celebrazioni ufficiali che Concetto Armonico promosse nei cinquant’anni dalla morte di Serafin, appartiene ai pronipoti del Maestro. Io ne sono il custode ed il presidente; appena avremo terminati catalogazione e restauri, sarà aperto al pubblico per la consultazione. Il fondo conserva foto, lettere, partiture, libri, documenti vari. Negli spartiti, tra l'altro, Serafin apportò moltissimi appunti tutt’ora attuali: un testamento musicale e culturale, ricco di suggerimenti e spunti per cantanti, direttori ed anche registi.
L'Associazione Concetto Armonico organizza da qualche anno il Concorso Lirico intitolato a questo grandissimo direttore veneto. Quest'anno ha selezionato gli interpreti del Don Giovanni di Mozart che vedremo a settembre.
Il nostro concorso è pensato come una vasta audizione, distribuita in tutta Europa, e come una effettiva opportunità per i giovani artisti. Ai vincitori offre un debutto, peraltro compensato, in un’opera studio scelta anno per anno. L'anno scorso Mitridate re di Ponto, quest'anno Don Giovanni, entrambi di Mozart. In realtà in Italia non avremmo bisogno di concorsi in gara fra loro per dare premi più alti. Abbiamo invece bisogno di offrire più opportunità di lavoro; e questo modo di operare sta alla base del Concorso Tullio Serafin.
Poi, secondo me le giurie, a parte uno o due grandi artisti lirici, dovrebbero contenere sempre – come fanno quelle del Serafin - un buon numero di direttori artistici, cioè di coloro che possono offrire opportunità ai giovani che ascoltano. A volte persino a qualcuno che è stato eliminato! E che dovrebbero anche assegnare dei premi - magari anche in minima parte – a nome dell’istituzione che rappresentano. Io, nelle giurie in cui presenzio, faccio così.
Cosa conta per te in un cantante? La bravura, certo. Ma anche la presenza, la fisicità?
La fisicità non la guardo nemmeno, questa scuola di pensiero che guarda anche all'aspetto è il cancro per il futuro dell’opera lirica. Vogliamo cantanti veri, non modelli da sfilate di moda. Naturalmente per me conta sopra ogni cosa la qualità della voce, la preparazione nel recitativo, l’intonazione, la conoscenza di ciò che si sta interpretando, la resa piena del personaggio.
Sei un attivo organizzatore di eventi musicali, ma spicca il ruolo di direttore artistico del festival Vicenza In Lirica. Sempre con massima attenzione all'opera sei-settecentesca, parlaci di questa realtà.
Vicenza in Lirica è un festival di innovazione, con inedite proposte musicali, con molti i recuperi dal passato e tanti nuovi artisti da inserire nel mondo dell’opera lirica. Sono incredulo d’essere arrivato a dieci edizioni: credevo di fermarmi già dopo la terza, e invece eccoci qua. Ma il mio modo di operare senza indebitarci, e la nostra trasparenza ci hanno fatto arrivare infine a questo traguardo. In futuro, per chi ci seguirà ci saranno altre pagine barocche da scoprire, accanto ad opere già conosciute, con spazio sia per i giovani sia per i grandi artisti che credono nel nostro lavoro.
Mi pare che in tutto quanto organizzi – opere, concerti, concorso – dedichi tanto spazio alle giovani leve artistiche, ma senza trascurare i "vecchi leoni" del palcoscenico.
Dai “vecchi leoni” i giovani hanno tutto da imparare. Anche l’umiltà del vero artista. Ho avuto la fortuna di ospitare tanti grandi nomi della lirica, che sono arrivati volentieri ed ai quali rivolgo il mio ringraziamento. E spero di avercela in futuro, questa fortuna, anche per i nostri annuali masters di formazione vocale.
Una volta con Vicenza in Lirica hai addirittura portato l'Orfeo di Monteverdi in discoteca.
Molti parlano di «andare a prendere i giovani per farli innamorare dell’opera», ma dove andiamo a prenderli? In paninoteca, ai giardini? Io sono andato in una discoteca, luogo per eccellenza dei giovani. All’Art Club di Desenzano settecento giovani per dieci minuti hanno sentito parlare di opera, di Monteverdi, di Palladio, del Teatro Olimpico, e poi ascoltato un brano interpretato da Sara Mingardo…
Non facile, ma il risultato è stato straordinario: molti giovani commossi, tanti applausi, video e foto con il cellulare. E per finire un bus di loro alla prima di Orfeo all'Olimpico, molti poi hanno continuato a seguire il Festival. Chi allora ci ha criticato (pochi, in realtà), sembra volere ancora un teatro “vecchio”. Ma l’Opera è giovane!
Sei un vulcano di iniziative. L'anno scorso hai dato vita al Cavarzere Opera Festival. Ci sarà una seconda edizione nel 2022?
La seconda edizione ci sarà, in autunno, dedicata sempre a Tullio Serafin, che tra l'altro nella sua lunga carriera scoprì e lanciò tantissime voci esordienti. Difficile concepire che nella città che lo vide nascere non esistesse prima un festival a lui intitolato.
Però Cavarzere è un piccolo centro, un po' ristretto ed appartato. Certe volte vi incontro difficoltà che non trovo nemmeno nei grandi teatri, dove di tanto in tanto porto il ricordo di questo grande musicista veneto. Ma io mi sforzo di superare quei provincialismi che non fanno bene alla cultura, al teatro ed ai giovani artisti. Quest'anno, fra l'altro, ho voluto portare proprio qui la finale del Concorso lirico a lui intitolato.
Nell'ambito di Vicenza in Lirica, da qualche anno organizzi un concerto con molti ospiti a sostegno dell'Associazione Sindrome di Sotos Italia. Com'è nata questa iniziativa?
Un festival deve anche guardare agli altri, ai più bisognosi. Sono stato chiamato in causa direttamente, si tenga conto che la Sindrome di Sotos colpisce un bambino su 14.000. La serata di quest’anno, il 18 giugno, è stata molto emozionante, perché avevo in sala molti bambini Sotos con le loro famiglie, giunti da tutta Italia. Sono saliti in palco con me, mi hanno persino intervistato; un’emozione unica, una delle più belle della mia vita.