Intervista a Filippo Perocco: classe 1972, da sempre attratto dai vari linguaggi della musica contemporanea, divide il suo tempo tra l'insegnamento, la direzione d'orchestra e l'attività di compositore
Nel 2017 Filippo Perocco ha ottenuto il Premio Franco Enriquez per la composizione con questa motivazione: “Nella confusione dei linguaggi che attraversa tutta l’arte di oggi […] ha scelto di collocarsi fuori, e guardare ciò che accade. Si colloca nella zona neutra che prepara la conoscenza, e salta quindi sul palco per raccontarci, con la musica, non la permanenza o la sostanza delle cose, bensì la loro perpetua fragilità e inafferrabilità”.
Parole sacrosante. Ma, nonostante la considerazione e fama conquistate, è una persona un po' timida e per nulla vanagloriosa. Lo incontriamo nel piccolo centro vicino a Treviso dove abita da sempre, per due chiacchiere ed un caffè.
Filippo, raccontaci brevemente come è avvenuta la tua formazione musicale...
Ho cominciato relativamente tardi, a 14 anni. Ho prima studiato privatamente con vari insegnanti, poi mi sono iscritto al Conservatorio di Venezia dove ho seguito le lezioni di Sergio De Pieri, valido concertista d'organo, col quale si è instaurato anche uno stimolante rapporto d'amicizia. Quando lui è rientrato in Australia sono passato nella classi di Severino Tonon e di Roberto Micconi, col quale mi sono diplomato in organo. Verso fine studi mi ero iscritto anche al corso di composizione, diplomandomi alla fine con Riccardo Vaglini. Figura anche questa molto importante per la mia formazione, con cui ho instaurato in seguito diverse collaborazioni professionali. Ho anche studiato direzione con Emilio Pomarico alla Civica di Milano, e frequentato due edizioni dei Ferienkurse di Darmstadt, Negli stessi anni sono cominciati ad arrivare inviti a varie manifestazioni musicali europee, come il Gaudeamus di Amsterdam o la Biennale Musica di Venezia, così ho avuto modo di farmi conoscere sempre di più come compositore. Poi è cominciata l'avventura dell'ensemble L'Arsenale, che continua tuttora. Nel 2006 sono anche stato nominato “composer in residence” all'European Centre for the Arts di Dresda.
Tieni il corso di Teoria dell'armonia e analisi musicale, materia non certo facile. Ti piace insegnare?
Anche all'insegnamento sono giunto tardi, solamente da una dozzina d'anni. Ho insegnato prima a Cagliari, poi dieci anni a Cosenza, infine da due anni sono al Conservatorio di Trieste. La mia è una materia molto ricca e flessibile, che offre varie possibilità... Attualmente nella mia classe – la terza del corso – ho dei ragazzi avanti con gli studi, musicisti già formati, che cerco di stimolare ed interessare sopra tutto a quella che io amo definire semplicemente la Nuova Musica. Vedo che mi seguono con molta passione. La musica è sempre contemporanea - diceva Luciano Berio – perché è tale nel momento in cui la si fa e la si ascolta.
Le tue composizioni sono state eseguite in molte sedi prestigiose, dalla Biennale veneziana alle sale di Berlino, Londra, Salisburgo, Dresda, Madrid... Quando ha cominciato a comporre?
Praticamente da subito, cioè da quando ho cominciato a suonare. Prima un po' per gioco, poi sempre più seriamente, Già all'interno del corso di organo è previsto lo studio della composizione organistica. Poi gradatamente, dentro e fuori del conservatorio, sono arrivate le occasioni giuste. Come quando nel 2001 Arborescenze, un mio ampio brano per grande orchestra, è stato selezionato ed eseguito alla Fondazione Gaudeamus di Amsterdam. Una vetrina molto importante per la mia carriera: da qui sono arrivate man mano le altre commissioni, che hanno riguardato sia composizioni da camera, sia per piccola e grande orchestra.
“Aquagranda”, opera che ha inaugurato la Stagione 2016-17 del Teatro La Fenice con la regia di Damiano Michieletto, ha vinto il Premio Abbiati. Come è nata questa tua splendida e complessa partitura?
Un paio d'anni prima il Teatro La Fenice mi aveva contattato proponendomi il progetto, e consegnato una bozza di progetto che aveva alla base il libro Acqua Granda di Roberto Bianchin, dedicato alla disastrosa alluvione veneziana del novembre 1966. Una bella sfida: lavorare per un teatro famoso, per l'opera di inaugurazione, e per ricordare un evento così tragico. Mantenendo però il mio stile e la mia concezione di suono, pur andando incontro ad ovvie esigenze drammaturgiche. Era tra l'altro la prima volta che dovevo comporre su un lungo testo narrativo con trama, dialoghi e situazioni, invece che su testi per così dire “astratti”, il che mi creava qualche inevitabile difficoltà. Così il lavoro di preparazione e di scrittura, durato oltre un anno, è stato molto lungo, intenso ed impegnativo. Spesso mi trovavo praticamente fermo, a cercare di risolvere certi passaggi, certi particolari momenti. Mi sono anche documentato sui canti lagunari e sul dialetto, dato che il lavoro è ambientato sul litorale di Pellestrina, quello che racchiude la Laguna. Aquagranda ruota essenzialmente su due elementi: la scrittura corale, che serve ad evocare l'ambiente, e la narrazione affidata alle voci soliste, con recitativi e momenti melodici, che richiede un altro tipo di trattamento vocale. Devo dire che fin da subito mi sono spesso confrontato, in un continuo scambio di idee, con il regista Damiano Micheletto, e con Luigi Cerantola che curava libretto e drammaturgia. Abbiamo elaborato tutti insieme una specie di work-in-progress. Anche Fortunato Ortombina, direttore artistico della Fenice, mi ha molto supportato: la magia dell'opera è che vi si trova la convergenza di tante professionalità. Ed infatti il Premio Abbiati è stato dato a tutto lo spettacolo in sé – compresa la direzione di Marco Angius - e non alle singole componenti.
Il tuo ultimo lavoro per il teatro è stato Lontano da qui, dato a Spoleto e Reggio Emilia.
Dopo il successo di Aquagranda, il Teatro Lirico Sperimentale Belli di Spoleto mi aveva chiesto - tramite Marco Angius che poi l'ha diretta - di scrivere una breve opera sul terremoto della Valnerina avvenuto nel 1979. Ma io non volevo certo diventare il musicista delle catastrofi... Ho accettato solo a condizione di lavorare su di un soggetto ed un testo che non parlassero direttamente di quel tragico sisma. Infatti nella drammaturgia vengono evocati concetti di precarietà, di cambiamenti, di rinascita, senza però mai definire un evento preciso. Ci sono solo un 'prima' ed un 'dopo', con in mezzo una cesura tragica, lasciata all'immaginazione dello spettatore. Lontano da qui è nato da una collaborazione stretta con Riccardo Fazi che ha curato drammaturgia e libretto, con la compagnia Muta Imago e la regista Claudia Sorace, con la video maker Maria Elena Fusacchia. Il lavoro è andato in scena al Caio Melisso ai primi di settembre 2018, e poco dopo anche al Festival Aperto di Reggio Emilia.
Direttore dedito interamente al repertorio contemporaneo, hai fondato un ensemble diciamo “su misura”, L'Arsenale.
Per essere precisi, L'Arsenale è stato fondato nel 2005 insieme a Lorenzo Tomio, chitarrista e compositore, riunendo un gruppo di vari strumentisti – alcuni all'epoca giovanissimi - incontratisi così per caso, e con i quali si è subito stabilita un'intesa umana prima ancora che artistica. Devo dire che, in realtà, pochi di loro allora avevano dimestichezza con la musica contemporanea. E voglio precisare che il gruppo non è stato messo in piedi per eseguire le nostre composizioni, ma solo per diffondere quanto meglio possibile la Nuova Musica. Non a caso, abbiamo chiesto per il nostro primissimo concerto nove lavori inediti a nove compositori che stimavamo. E nel tempo abbiamo costruito, grazie a continue nuove commissioni, un nostro repertorio. Da qualche anno l'organico dell'ensemble si è stabilizzato in voce di soprano, sax, fisarmonica, chitarra elettrica e piano. Con l'aggiunta frequente di vari altri strumenti analogici, sintetizzatori. E di strumenti fatti "in casa".
L'Arsenale ha varato nel 2009 il Festival Nuova Musica a Treviso, dedicato alla contemporaneità. Esperienza che continua tuttora, e con largo seguito di pubblico.
Tra molte difficoltà, si. Sia per i finanziamenti – all'inizio quelli della Ernst von Siemens Foundation, da qualche anno quello del “Progetto SIAE Classici di oggi”- sia per gli spazi che lo ospitano, più volte cambiati nel tempo. A parte gli appuntamenti nei siti istituzionali, come il foyer del Teatro Comunale o la Chiesa di S. Caterina, abbiamo una passione speciale per i “non luoghi”. Posti che solitamente non ospitano eventi musicali. Come ad esempio le stazioni dei treni, gli aeroporti, un'ex casa di riposo, un'ex caserma e persino un poligono di tiro. E molto importante per noi è la collaborazione con Asolo Musica, che ci supporta da sempre. Riprendendo quanto ho prima detto, con L'Arsenale abbiamo eseguito in prima assoluta tantissimi lavori inediti, accanto ad altri già eseguiti altrove. Nell'edizione dell'anno scorso abbiamo suonato con i Tenore Su Remediu de Orosei, confrontandoci con la tradizione musicale sarda. Invitiamo a Treviso molti validi musicisti come l'MDI Ensamble, i Neue Vocalsolisten, Helmuth Lachemann, offrendo al pubblico un ampio ventaglio di possibilità, ed organizziamo a volte anche masterclass e workshop. Marco Angius, per esempio, ha tenuto per noi un corso di direzione. Un grande motivo d'orgoglio, è che nel 2016 il Festival si è guadagnato il Premio Abbiati.
Come vedi il ruolo della musica contemporanea? Musica d'élite, o musica che si può proporre – come è accaduto ai tuoi lavori teatrali – anche ad un pubblico “normale”?
Personalmente, nella mia esperienza non ho mai incontrato difficoltà a far ascoltare e comprendere la musica che eseguivo, fosse mia o di altri autori. Anche con il Festival Nuova Musica siamo stati sempre gratificati da un buon seguito di pubblico, che si è affezionato alla manifestazione e che arriva anche da altre città. Certo, rispetto alla fruizione della musica “normale” - quella che si può ascoltare alla radio magari guidando - in questi casi appare fondamentale sia la maggiore attenzione, sia il contatto diretto, la vicinanza con gli esecutori. Serve cioè comprendere come nasce il suono, e come viene trattato.
Ultima domanda: i prossimi progetti?
Ad aprile, Alberto Mesirca eseguirà un mio nuovo brano commissionato dal Gitarren Festival di Nordhorn in Sassonia; in giugno vedrà la luce una miniatura commissionata dall'ensemble L'imaginaire di Strasburgo per festeggiare i loro 10 anni di attività e per fine ottobre devo consegnare un lavoro chiestomi dalla Biennale Musica di Venezia. Pezzo che spero di poter suonare io stesso con L'arsenale al Teatro alle Tese. Per l'anno prossimo, devo scrivere un brano per i Neue Vocalsolisten Stuttgart, che l'eseguiranno nelle Südseite Nachts di Stoccarda.
Per quanto riguarda il teatro d'opera, ci sono all'orizzonte dei progetti, delle idee, ma è ancora troppo presto per parlarne ufficialmente.