Appesa all’attaccapanni dello studio di Marco Bellocchio c’è la giacca nera di uno smoking acquistato dieci anni fa, a maggio, pochi giorni prima di partire per Cannes dove Il principe di Homburg era stato invitato in concorso. Mancano i pantaloni, che andranno leggermente allargati, ma la giacca è lì, pronta per il tour de force che inizia mercoledì prossimo, quando Bellocchio sarà di nuovo sulla Croisette, stavolta per l’intera durata della rassegna, con il ruolo di membro italiano della giuria: «Per il mio carattere l’unico problema del Festival è la pesantezza dell’apparato, bisogna salire quello scalone... dovrò appunto rimettere lo smoking». E sarà la quarta volta che l’abito parte per la Costa Azzurra, visto che, dopo l’anno del Principe di Homburg, il regista è stato in gara con La balia e con L’ora di religione: «La Palma non l’ho mai vinta, il riconoscimento più importante è stato per Salto nel vuoto di cui furono premiati i due interpreti, Michel Piccoli e Anouk Aimée».
Quest’anno è dall’altra parte della barricata: «Ho preso parte ad altre giurie, a Venezia, a Locarno, non mi sono mai trovato in disaccordo con me stesso, i giudizi si danno in rapporto a quello che piace più che in rapporto alle idee in cui si crede. Esistono opere di livello altissimo firmate da artisti con idee totalmente diverse dalle mie. Per esempio io sono ateo, ma penso che la Passione di Giovanna D’Arco di Dreyer sia uno dei capolavori della storia del cinema». Il criterio che guiderà Bellocchio giurato sarà quello di sempre: «L’importante è individuare la forza e la bellezza delle immagini, non temo le dipendenze ideologiche, mi è sempre piaciuto il cinema d’immagine rispetto a quello di parola e per questo mi è capitato talvolta di criticare la produzione italiana». Produzione che quest’anno resta fuori dalla gara: «Non so quali film siano stati visti dai selezionatori del Festival di Cannes e non avendoli visti non posso giudicare la scelta di escluderli».
I giorni al Festival saranno anche una pausa nella preparazione del nuovo film Vincere che abbraccia vent’anni cruciali della storia italiana raccontando la vicenda umana di Ida Dalser, compagna ripudiata del Duce e madre del suo primo figlio maschio, Albino: «La parabola di Benito Mussolini che da acceso rivoluzionario diventa interventista è rivissuta attraverso immagini e situazioni private, gli episodi che sintetizzano i passaggi fondamentali della sua vita e dell’Italia di quegli anni sono descritti nel confronto con la figura femminile». Nei percorsi di Mussolini, di Ida, di Albino, si leggerà, grazie alla continua «contaminazione tra finzione e materiali di repertorio», l’itinerario politico dell’Italia, con tutti i suoi riflessi sull’oggi: «Passando alla guerra e abbandonando il partito Socialista, è come se Mussolini avesse messo le basi della crisi di quella formazione politica, la stessa che poi non ebbe l’energia necessaria per battere il comunismo nascente. Dopo il neutralismo del ‘14, è come se il partito socialista non si fosse più ripreso e quando ha tentato di farlo è stato con metodi sbagliati, vivendo su un potere artificiale, fatto di corruzione. Nel momento in cui questo sistema è stato svelato, il partito socialista è crollato su se stesso. E invece se oggi esistesse sarebbe da votare». Bellocchio s’interroga: «Con questa nuova sinistra mi sembra che tutti navighino a vista, non si sa bene che cosa sia il nuovo partito democratico, di sicuro chi è fuori dalla politica aspetta una definizione più precisa. Per quanto mi riguarda auspico che le sinistre si riuniscano in un raggruppamento forte, decisamente più di sinistra, dove si abbia l’ardire di pronunciare la parola socialismo, con riferimento ai temi culturali, laici. In Francia questo è potuto succedere grazie al carisma personale di François Mitterrand».
Vincere è un film basato sui fatti della storia, come Buongiorno notte: «Quando si parte dal passato ci si deve fidare, si deve pensare che esso possa rapportarsi al presente». Ma è anche e soprattutto un racconto che parla di «violenza di sentimenti» in cui è centrale la figura di lei, Ida, «che non si dà mai per vinta e non si piega alla volontà di Mussolini di relegarla nell’ombra, insieme alle altre amanti che, accettando quella collocazione, guadagnarono privilegi e protezioni». Ida no, Ida «disubbidisce, è una ribelle, un po’ Antigone e anche un po’ Medea perché il suo modo di rifiutare il volere del Duce finì per danneggiare pure il figlio Albino».
Tutti e due morirono in manicomio, seguendo percorsi diversi e paralleli: «Per un po’, dopo l’abbandono di Mussolini, la Dalser continuò a credere che fosse stata ordita una congiura contro di lei, poi capì e, con grande lucidità, predisse la sua fine. Morì nell’ospedale psichiatrico di San Clemente, a Venezia, dopo aver tentato ancora la fuga a 55 anni». Il figlio Albino, riconosciuto da Mussolini, fu poi spedito in Cina: «Dopo l’internamento della madre si pensò fosse meglio cambiargli il nome e affidarlo a Arnaldo, il fratello del Duce, un tutore di sicura fede fascista che però morì presto». Non sarà facile trovare gli interpreti del film: «Per Ida ci vorrebe un’attrice in grado di esprimere tenacia, spavalderia, invulnerabilità, ma anche la persistenza di un amore-fissazione all’Adele H e una sensualità forte, presente. Con Mussolini si porrà il problema del tempo, nel film lo vediamo giovane, poi, dopo essere scomparso alla vista dell’amante, riapparirà nei cinegiornali del ‘22. Il primo Mussolini dovrà somigliare al Mussolini dittatore».
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