L’edizione 2014 del Bari International Film Festival premia film d’impegno sociale e - per quanto riguarda il panorama nazionale - capaci di mettere sotto la lente d’ingrandimento le varie facce di una deriva chiamata Italia. Lo fanno con ironia, con creatività stilistica, prediligendo ora il dramma borghese familiare ora lo humor nero di storie biografiche da nord a sud dello stivale. Mostrano personaggi che provano ad adattarsi nel male o nel bene alle leggi imposte dal sistema economico, dalla crisi o dal sedicente Stato che è tutt’uno con la mafia, quasi fossero livelli diversi di un pericoloso “gioco di società”.
È quello che accomuna film come Il Capitale Umano di Paolo Virzì e La Mafia uccide solo d’Estate della Iena Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, che ha riscosso un notevole successo di pubblico tanto da registrare il sold out nelle proiezioni programmate e in quelle fuori programma, aggiunte per soddisfare la richiesta degli spettatori. Il film si aggiudica il premio come miglior Opera Prima in concorso “per l'originalità coinvolgente con cui tratta il tema della mafia attraverso un linguaggio graffiante e ironico, diretto ed efficace”. Questa la motivazione stilata dalla giuria popolare presieduta da Giuliano Montaldo, che quest’anno ha decretato l’assegnazione di un premio straordinario nella stessa sezione al film L’Arbitro, con Stefano Accorsi, a Paolo Zucca per la miglior regia.
Trionfa per numero di premi ottenuti, ben sei, Il Capitale Umano di Virzì che si aggiudica nella sezione ItaliaFilmFest: miglior film, miglior regia, miglior montaggio,migliore sceneggiatura, miglior attrice non protagonista a Matilde Gioli e miglior attore protagonista a Fabrizio Gifuni.
Discorso a parte per la sezione Panorama Internazionale dove la giuria popolare presieduta da Francesco Bruni ha affidato il premio internazionale della miglior regia a Zaza Urushadze per il film Tangerines (Mandarini) con la seguente motivazione: il film ha il grandissimo pregio di saper raccontare in maniera semplice ma raffinata l’insensatezza della guerra, specie quando essa contrappone persone che hanno la stessa lingua e faticano persino a riconoscersi come nemici. Qui due miliziani, un abkahazo ed un georgiano, gravemente feriti, vengono ospitati sotto lo stesso tetto da un anziano e paziente contadino estone: nella convivenza forzata, nella condivisione dei piccoli momenti della giornata l’odio feroce che li divide è destinato a perdere ogni senso, poiché si può odiare solo ciò che non si conosce”.
Antonella Carone per AlCinema.Org