Cinema

Bif&st, "Onirica" di Lech Majewski in concorso al festival

Bif&st, "Onirica" di Lech Majewski in concorso al festival

E’ stato presentato nella sezione Panorama Internazionale del Bif&st il nuovo lungometraggio di Lech Majewski dal titolo Onirica (Field of Dogs). Ad introdurlo lo stesso regista sul palco del Teatro Petruzzelli davanti a un pubblico pomeridiano attento e curioso di ascoltare. Mai come in questo film il cineasta polacco ha osannato l’amore per l’Italia e la sua cultura erede del pensiero greco, latino e della grandezza di Dante.

Proprio con la spiritualità della Divina Commedia il regista si confronta in questo lavoro, con uno sguardo inquieto e affascinato sul Mistero di Dio.  “La pittura di Giorgione mi ha fatto conoscere Antonioni. Ma sono stato rapito anche da Dante, Buzzati, De Chirico col quale ho avuto la fortuna di prendere un caffè durante una Biennale di molti anni fa”, ha raccontato Majewski. Certo la pittura è la prima grande protagonista di questo film attraverso inquadrature che prendono un po’ dai volumi fiamminghi un po’ dalla luce di Caravaggio con la sua forza disvelatrice e redentrice.

Il protagonista, abùlico e taciturno, lavora in un supermercato pur essendo un accademico. E’ colpito da narcolessia dopo il trauma di un incidente stradale nel quale ha perso la donna e il migliore amico. Non appena ha la possibilità di sdraiarsi si addormenta e inizia a sognare. Siamo nel 2010 e questa tragedia individuale si contestualizza nella tragedia collettiva dell’alluvione in Polonia che causò numerosi morti e lo straripamento dei fiumi che rasero al suolo interi paesi. Il regista penetra nei sogni dell’uomo, li insegue con lunghi piani sequenza tra “foreste di simboli dagli occhi/familiari”.

Onirica è un’esperienza, un viaggio tra i sensi sui quali si posano come sospensioni, come cori dell’antica tragedia, i passi della Divina Commedia che il protagonista ascolta dal suo i-pod. Dante a sua volta assume per il protagonista il ruolo di Virgilio: sommo maestro e guida verso la Luce, verso il ricongiungimento con Beatrice. Onirica è intriso di arte figurativa e di filosofia. Stupefacente e coraggioso – per gli standard italiani-  il monologo della zia in cui si parla della morte attraverso il pensiero filosofico da Epitteto ad Heidegger.  Il ritmo lento del film non distoglie l’occhio dello spettatore dallo schermo, anzi lo cattura di simbolo in simbolo, dall’oscurità alla luce finché non si compie il successivo disvelamento. 

Onirica è un po’ il corrispettivo cinematografico dell’Ulisse di Joyce, alienato e degradato in una dimensione post-traumatica.  Le figure che vi si scorgono sono mostri bellissimi, angeli inquietanti, tra Sirene ammaliatrici e una Nausicaa che allatta sulla riva di un fiume; e ancora una colomba che collega scene apparentemente irrelate e che un certo punto incontra la sua metà. Solo allora il simbolo dello Spirito Santo si sovrappone a quello del sommo Amore: il protagonista sogna di unirsi alla donna che ha perso in un’inquadratura che è un delicato dipinto d’amor sacro e amor profano.

Ed ecco, dimessi i panni di un moderno Ulisse o di un moderno Dante, l’uomo e la sua donna si ricongiungono “quali colombe dal disio chiamate/con l’ali alzate e ferme al dolce nido”, in un sogno che rifigura il canto di Paolo e Francesca: per loro non la condanna dei lussuriosi ma la beatificazione di un ricongiungimento alla fine di un viaggio in vita attraverso la morte.

 

Recensione a cura di Antonella Carone per AlCinema.Org