Quanta fatica diventare cittadini. Specie negli Stati Uniti, specie quando l’immigrazione clandestina prende il sopravvento. Nel Paese nato dall'immigrazione, che controlla ossessivamente chi arriva, memore del passato, il regista Wayne Kramer intreccia storie diversissime tra loro.
Harrison Ford sarebbe il nome grosso da stampare in locandina e interpreta un poliziotto dell'immigrazione capace di piccoli gesti di umanità, chiuso nella sua corazza di difensore della legge. Intorno a lui si muovono un collega d'origine iraniana costretto ad arginare sua sorella, un'avvenente attrice australiana che rischia l'espulsione; un musicista inglese finto ebreo osservante per motivi di lavoro; una giovane madre messicana arrestata durante una retata, un adolescente coreano sulla cattiva strada mentre la famiglia sta per essere naturalizzata; una quindicenne col velo che attraverso i temi sembrerebbe solidarizzare con il Jihad islamico; un funzionario dei visti stanco della moglie avvocata.
Il solito mosaico, questa volta non restituisce un disegno completo. Non è «Babel», non è neppure «Crash» e le storie non fanno sempre breccia. Perché tanta gente è disposta a rischiare così tanto? Tra la legalità e la clandestinità c’è una serie infinita di stati d’animo.
Tutto molto buonista ma poco convincente.
Cinema