In sala per soli tre giorni (26, 27 e 28 febbraio) distribuito da Lucky Red, Eric Clapton: Life in 12 Bars è un lungo viaggio, spesso sin troppo prolisso, nella carriera, nella musica, ma soprattutto nella vita privata di Eric Clapton.
All’inizio degli anni ’60, quando in America il blues era ancora faccenda da “negri”, in Inghilterra grazie a gruppi quali i primi Rolling Stones, la “musica dell’anima” stava andando finalmente ad affermare la propria importanza. E’ in questo ambiente che nasce e si sviluppa musicalmente la stella di Eric Clapton, raccontata fra luci e molte ombre nel documentario di Lili Fini Zanuck Eric Clapton: Life in 12 Bars, evento speciale in sala dal 26 al 28 febbraio.
Clapton Is God
E senza dubbio, per molto tempo, Eric Clapton un dio lo è stato veramente. Entrato giovanissimo prima negli Yardbirds e poi, appena ventenne, nei Bluesbreakers di John Mayall, Clapton da subito diventa un punto di riferimento per i musicisti della propria generazione.Stimato da Jimi Hendrix, ammirato da Bob Dylan (impagabile la sequenza in cui il futuro premio Nobel, solitamente imperturbabile, resta a bocca aperta davanti ad un assolo del nostro) e grandissimo amico di George Harrison (benché considerasse i Beatles degli inizi “dei coglioni”), può risultare difficile immaginare che tanto talento possa accompagnarsi ad una personalità estremamente problematica e oscura.
"Sono sparito perché non mi piace la vita. Voglio morire e non vivrò a lungo"
- Eric Clapton -
Il Clapton dei giorni nostri è un uomo ormai in pace con sé stesso: filantropo e padre di famiglia, pochi concerti in vista dell’imminente ritiro dalle scene per problemi di salute. Quello invece raccontato da Life in 12 Bars è un Eric Clapton talentuoso e oscuro, perennemente insoddisfatto sia dalla carriera musicale (in poco meno di dieci anni cambia ben cinque band), che dalla vita sentimentale, dominata per molti anni dall’ossessione quasi maniacale per Pattie Boyd, moglie di George Harrison. Insoddisfazioni che sfociano in dipendenza da droghe e alcool e che si riflettono - quasi sempre in negativo – sulla produzione discografica e live dell’artista. Relativamente al periodo “autodistruttivo”, il documentario lascia poco all’immaginazione e ci viene consegnato un Clapton confuso, spesso talmente ubriaco o “fatto” da arrivare a litigare col proprio pubblico durante i concerti.
“I bianchi possono imparare a suonare la chitarra, ma non riusciranno mai a cantare il blues. Non hanno abbastanza anima perché non hanno sofferto abbastanza”.
- Muddy Waters -
Before You Accuse Me
Dal punto di vista narrativo Life in 12 Bars è privo di quei guizzi che avrebbero potuto renderlo entusiasmante. Ci provano, ma a poco servono, gli sporadici flashback tesi a sottolineare quanto l’inesistente rapporto con la vera madre abbia poi inciso nella personalità travagliata e nei rapporti del musicista con il sesso femminile. E’ forse questo il lato debole dell’operazione: fra agiografia e sincerità, il coinvolgimento diretto di Clapton sbilancia la narrazione verso la vita privata – di certo fondamentale, ma trattata spesso in modo ripetitivo – finendo a volte per liquidare in poche veloci battute il ben più stimolante lato musicale.
Perché vederlo: Eric Clapton, al netto dei problemi legati alla sua vita privata, è stato un vero fenomeno di tecnica musicale e Life in 12 Bars riesce a ricreare perfettamente il clima culturale in cui l’artista si è formato. Volendo si può integrare con la visione di The Life Of Riley, su vita e musica di B.B. King, e di Crossfire Hurricane, gioiello sui Rolling Stones dell’epoca.
Perché non vederlo: i filmati inediti e le sequenze live mantengono vivo l’interesse, ma i complessivi 135 minuti di durata – festa per gli appassionati - potrebbero mettere a dura prova l’attenzione dello spettatore occasionale.