La 56esima edizione del Festival Internazionale del Cinema di San Sebastián (18-27 settembre) dedica, quest’anno, un’ampia retrospettiva al grande regista italiano Mario Monicelli.
L’autore viareggino, oggi noventatreenne, è l’unico superstite di una generazione di cineasti che hanno reso inimitabile e unica la cosiddetta “commedia all’italiana”.
Monicelli ha, in particolare, contribuito con opere nelle quali contesto satirico e motivi psicologici si fondono alla perfezione, creando indiscutibili capisaldi del genere su citato. Dagli esordi farseschi con Totò (“Totò cerca casa”, 1949, “Guardie e ladri”, 1951) agli ironici affreschi storici (“La grande guerra”, 1959, “L’armata Bracaleone”, 1966), dagli emancipati ritratti femminili (“La ragazza con la pistola”, 1968, “Speriamo che sia femmina”, 1986) alle malin-comiche “zingarate” di goliardi di mezza età (“Amici miei”, 1975, “Amici miei atto II”, 1982), tutta la sua nutrita filmografia si è dimostrata, sempre, in grado di soddisfare il gusto popolare senza mai rinunciare a una cifra stilistica raffinata e innovativa.
Intervista a Mario Monicelli
Dopo le scorpacciate di film nostrani sulla Croisette e al Lido, l'Italia si affida, quindi, a un indiscutibile maestro del nostro cinema per assicurare la propria presenza nella prestigiosa rassegna dell'incantevole città basca. Scorrendo il programma, infatti, non si segnala, sia in concorso che fuori concorso, la partecipazione di lungometraggi diretti da nostri connazionali. D'altronde, ciò accade da qualche anno a causa della quasi concomitanza con la kermesse lagunare, ed è un peccato poiché, soprattutto negli anni 60, il talento dei nostri registi è stato rivelato proprio dal festival spagnolo.
La Concha de Oro (al miglior film) è andata, infatti, quattro volte a pellicole italiane (“La nonna Sabella” di Dino Risi, 1957, “L’isola di Arturo” di Damiano Damiani, 1962, “Mafioso” di Alberto Lattuada, 1963, “Storie di ordinaria follia” di Marco Ferreri, 1981), mentre la Concha de Plata (miglior regista) ha incoronato per ben sei volte i nostri autori (Pietro Germi, Folco Quilici, Alberto Lattuada, Mauro Bolognini, due volte vittorioso, e Mario Monicelli). Margherita Buy è, invece, stata l'unica attrice nostrana a guadagnare l'alloro di miglior interprete nel 1990. Ad ogni modo, ci consoliamo con il pezzetto di Belpaese che appare nel lungometraggio, in competizione, “Genova” del britannico Michael Winterbottom.
Specializzato in scomode opere di denuncia (“The Road to Guantanamo”, 2006, premiato a Berlino), il cineasta inglese, questa volta, si immerge in un’atmosfera maggiormente intimistica, narrando la vicenda di un professore del Regno Unito, che, dopo aver perso la moglie in un tragico incidente, decide di trasferirsi con le figlie nel capoluogo ligure per intraprendere una nuova vita. La città, in effetti, sarà lo sfondo di inevitabili cambiamenti per i tre personaggi, coinvolti in una misteriosa e fitta trama di fantasmi.
La pellicola di Winterbottom dovrà vedersela con altri 12 film in concorso, tra i quali spiccano l’iraniano “Two-Legged Horse” di Samira Makhmalbaf, il coreano “Dream” di Kim Ki-duk, il nipponico “Still Walking” di Hirokazu Koreeda, e un tris di iberici purosangue (Javier Fesser, Jaime Rosales, Belén Macías).
Hollywood sarà rappresentata da due “irregolari” dello star system come il prolifico Woody Allen, che presenterà, in anteprima spagnola e in apertura di festival, la sua ultima fatica "Vicky Cristina Barcelona" con la star di casa Penélope Cruz, e il ritrovato Jonathan Demme, presidente di giuria e reduce dal successo veneziano dello sperimentale "Rachel Getting Married” con Anne Hathaway. Imperdibili, infine, le altre retrospettive dedicate al noir giapponese, dal titolo “Japan in Black”, e al regista inglese Terence Davies, autore del duro, malinconico e autobiografico “Voci lontane…sempre presenti” (1988).
Cinema