Disturbante, con ritmi lenti, mentre i “giochi divertenti” di due ragazzi dai modi così educati si trascinano con cinismo. Funny Games, film di Michael Haneke, arriva diretto allo spettatore, che prima si identifica con le vittime casuali di una folle e dialogante carneficina, poi quasi prega che la strage sia quanto più veloce, con un certo fastidio per il protrarsi dello “spettacolo”.
Nei panni dei due giovani torturatori con guanti bianchi (da golf) ci sono il bravo Michael Pitt, lanciato nel 2003 da The Dreamers di Bernardo Bertolucci, e Brady Corbet (già ragazzo problematico in Mysterious Skin), psicopatici perfetti.
La famigliola prigioniera nella sua stessa villa è composta da Tim Roth, Naomi Watts, e il piccolo Davon Gearhart. Tutti ostaggi di una violenza gratuita.
In realtà questo non è il primo Funny Games: si tratta di un remake dell’omonimo film del 1997 dello stesso Haneke, successivamente fattosi conoscere per La pianista e Niente da nascondere. Allora il film era made in Austria, con un cast meno noto. Le inquadrature erano e sono le stesse, così come l’intento di indagare il rapporto tra media e violenza, di sicuro sempre attuale ma oggi non più così originale.
“Quando nei primi anni Novanta ho iniziato a pensare al primo Funny Games, pensavo soprattutto al pubblico americano.
Reagivo a un certo tipo di cinema americano, alla sua violenza, al suo essere naif, al modo in cui gioca con gli esseri umani” spiega il regista. “In molti film americani la violenza è diventata un prodotto di consumo. Tuttavia, poiché era un film in lingua straniera e poiché gli attori erano sconosciuti in America, il film originale non ha raggiunto il suo pubblico”. Ora, il nuovo Funny Games ha colto il suo intento originario.
Fonte: Panorama
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