Azione ed ironia non salvano dalla noia il ritorno in sala di Keanu Reeves.
Dopo l’improvvisa morte della moglie, John Wick riceve dalla donna un ultimo regalo: un cucciolo di beagle accompagnato da un biglietto che lo esorta a non dimenticare mai come si fa ad amare. Ma il profondo cordoglio di John viene interrotto quando la sua Boss Mustang del 1969 attira l’attenzione del sadico malvivente Iosef Tarasof. Quando John si rifiuta di vendere la macchina, Iosef e i suoi tirapiedi irrompono in casa sua, rubano l’auto, picchiano John fino a fargli perdere i sensi e uccidono il cucciolo. La banda non sa però di aver risvegliato uno dei più crudeli assassini che la malavita abbia mai conosciuto.
Diretto dagli ex stuntmen Chad Stahelski e David Leitch, John Wick segna il ritorno di Keanu Reeves sugli schermi dopo il suo primo film da regista, Man Of Thai Chi, ed il flop 47 Ronin.
Partendo da una premessa semplice, praticamente poco più di un pretesto, i due registi si mettono al servizio di uno script che vorrebbe richiamare, a detta dello sceneggiatore Derek Kolstad, i classici del noir. A tanto desiderio non corrispondono però adeguati risultati e John Wick, a parte qualche guizzo di originalità e di humor nero ed ironia (irresistibile in questo senso l’ albergo riservato ai killer professionisti), si allinea tranquillamente ai tanti revenge movies che regolarmente fanno capolino in sala e che, altrettanto regolarmente, vengono dimenticati poco dopo la visione.
Non sono sufficienti infatti le acrobazie ipercinetiche e stilizzate di Reeves, le sparatorie da videogames e tutto il repertorio di inseguimenti, agguati e vendette a rendere originale ed imperdibile la pellicola. Sotto questo punto di vista intriga molto di più la scelta di dare a John Wick una fama da “leggenda urbana” attraverso un background rigorosamente fuori scena e solo accennato da frasi o comportamenti, ma che rende bene l’ idea della pericolosità e della spietatezza del personaggio.
A questo, poco altro si aggiunge: l’ azione procede per accumulo ma risulta talmente spossante nella propria ripetitività che finisce per rendere più interessanti i momenti di raccordo (comunque nemmeno tutti riusciti) il che, per un film d’ azione, non è esattamente il massimo. Non salvano dalla noia nemmeno gli ottimi comprimari (forse la cosa migliore della pellicola), su tutti il qui malamente sfruttato Willem Dafoe, il “direttore d’ albergo” Ian McShane (Deadwood) e la killer “ribelle” Adrianne Palicki (Agents Of Shield). Se il fine dei due registi era quella di donare una seconda giovinezza a Keanu Reeves attraverso un film che nelle intenzioni si sarebbe forse voluto rendere un marchio riconoscibile (un po’ come è successo a Tom Cruise con la serie Mission: Impossible), non si può dire che l’ operazione abbia avuto completo successo: nessuna novità e nessun nuovo eroe di cui si possa sentire il desiderio o la necessità di altre avventure, solo una festa per chi ha voglia di ritrovare un Keanu Reeves nella sua forma migliore e nel genere che forse più gli si addice. I noir però sono tutt’ altra cosa e La Preda Perfetta (A Walk Among the Tombstones), uno dei migliori film dello scorso anno purtroppo quasi completamente ignorato, sta li a dimostrarlo.