Il suo autore lo definisce, e a ragione, un film "volutamente ambiguo". Nel suo esplorare un mondo a parte, nascosto, protetto: quello dell'apprendistato dei novizi nel mondo cattolico, la rigida disciplina e le dure regole di comportamento a cui vengono sottoposti gli aspiranti sacerdoti. Ma, proprio per questo, In memoria di me - opera seconda di Saverio Costanzo, dopo l'exploit di Private - è anche una pellicola dalla polemica annuciata. Destinato, inevitabilmente, a suscitare reazioni forti, nel mondo ecclesiastico. Anche per la scena di un bacio (castissimo, in verità) tra il Padre Superiore e uno dei suoi sottoposti.
Dunque sullo schermo vediamo rappresentato un universo pochissimo conosciuto. Guardato - ed è qui il cuore dell'ambiguità - con un misto di ammirazione e di sospetto: "Il credere a qualcosa, il fare una scelta definitiva - spiega il regista - può essere un'esperienza positiva, come accade ad esempio nelle religioni orientali; ma può avere anche un lato violentissimo, senza speranza".
Ed è questo il rischio - quello di abbracciare una fede fredda, tutta regole e niente amore - che, nei 113 minuti di film (in concorso al Festival di Berlino, ora in arrivo nelle nostre sale), corre il protagonista, Andrea (l'attore bulgaro Christo Jivkov): ragazzo di successo nella vita, ma inquieto e insoddisfatto, che decide di intraprendere la via del noviziato (in un ordine mai nominato, ma assai simile ai gesuiti). Così accetta di autorecludersi in un edificio dove si svolgono gli esercizi spirituali per l'avviamento al sacerdozio.
Una comunità chiusa, dominata dal Padre Maestro (Marco Baliani) e dal padre superiore (André Hennicke). In cui i pochi ribelli, come i novizi Panella (Fausto Russo Alesi) e Zanna (Filippo Timi) vengono spinti ai margini. In cui i ragazzi vengono invitati alla delazione nei confronti dei compagni che sbagliano, e in cui viene predicata l'imperturbabilità, l'indifferenza, verso le cose del mondo. Un mondo in cui, dietro le porte che la notte si aprono e si chiudono, sembrano celarsi inconffessabili segreti.
Alla fine, stretto tra l'ansia di una fede più "umana" di Zanna ("a loro la verità serve morta", dice riferendosi ai dirigenti ecclesiastici), e l'atteggiamento inflessibile dei suoi superiori, il nostro eroe sarà costretto a fare una scelta. Difficile, e forse non del tutto digeribile per lo spettatore. A ulteriore dimostrazione di quell'ambiguità che pervade l'intera pellicola.
Eppure In memoria di me non è un film anti-cattolico. Anzi, mostra sempre rispetto, verso gli esercizi spirituali e l'ansia di fede della Chiesa. Ma al Vaticano questo non è bastato. Come dimotra la critica articolata alla pellicola proposta, sulle pagine di Panorama, dal portavoce Padre Lombardi. Il quale non stronca del tutto il film; assolve, almeno in parte, perfino il famoso bacio; ma critica come non realistica la rappresentazione della vita dei novizi, e soprattutto degli esercizi spirituali di Ignazio da Loyola. Sostenendo, inoltre, che sullo schermo non vediamo mai quegli elementi di speranza e carità tipici della fede.
Critiche che Costanzo rispedisce però al mittente: "Secondo me - dice - sotto sotto a padre Lombardi il film è piaciuto. Altrimenti, vorrebbe dire che la Chiesa accetta solo i santini di certi sceneggiati tv. E quanto al realismo della rappresentazione... bé, questo film è volutamente non realistico. Sul bacio, poi, ha ragione lui: la mia è una citazione di quello tra Gesù e Il Grande inquisitore (nei fratelli Karamazov, ndr). Un modo di far capire che non basta la certezza, ci vuole anche l'amore".
Conunque la si pensi, il film resta una dimostrazione di rinnovato interesse per la dimensione spirituale dell'esistenza: "E' vero - ammette l'autore - credo ci sia bisogno di credere a qualcosa. Specie in una generazione come la mia, fatta di eterni adolescenti: per questo sono affascinato da un mondo in cui invece la scelta è definitiva".
E per permettere anche ai suoi attori di capire di cosa si tratta, il regista li ha "costretti" a una settimana di ritiro e di esercizi spirituali, in un convento bolognese: "Un'esperienza davvero forte - conclude Costanzo - dopo tre giorni di regola del silenzio, li ho trovati tutti a parlare come matti...".
Fonte: la Repubblica
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