Cinema

L'albero

L'albero

La scorsa estate usciva nelle sale italiane un film della regista francese Julie Bertuccelli ambientato nelle campagne australiane. L’argomento della perdita, già trattato dalla regista nella sua pellicola di esordio, Da quando Otar è partito (2003), è qui sviluppato in una cornice fortemente simbolica e onirica, nonostante il soggetto sia abbastanza ordinario.
Dawn, Charlotte Gainsbourg, ha una vita felice insieme con i suoi quattro figli e il marito Peter, fino al giorno in cui Peter, colpito da un infarto, si accascia privo di vita all’interno del furgone che sta guidando di ritorno dal lavoro. Il mezzo sbatte contro il grande albero che sta accanto alla loro casa. È questo probabilmente il motivo che spingerà Simone, la figlia di sette anni che ha assistito inerme agli ultimi istanti del padre, a convincersi che egli continui a vivere dentro l’albero, che sia l’albero. La vita della famiglia O'Neil è radicalmente sconvolta. Ognuno di loro deve ricostruire il proprio ruolo a partire dalla tragedia vissuta. Dawn non si darà pace per molti mesi fin quando un nuovo amore farà capolino nella sua vita. Ma è Simone la vera protagonista. Lei che convince la madre, il fratello e lo spettatore a guardare animisticamente l’albero. La straordinaria fotografia, aiutata anche dai potenti paesaggi, fa il resto. I rami divengono braccia forti che proteggono, che accolgono, che amano, che aiutano. Ma sono invadenti ormai. Anziché tutelare finiscono per soffocare, per distruggere, per impedire che la vita vada avanti. La metafora continua con le radici del possente arbusto, che crescono in modo spropositato mettendo in pericolo la stabilità della casa. La devozione verso chi è morto diviene una prigionia, insomma, che impedisce alla vita di avere il sopravvento sulla morte, al presente di aprirsi al futuro.
Il film oscilla tra il melodrammatico e il surrealistico senza mai decidersi né per un verso né per l’altro. Tuttavia l’indagine sull’elaborazione del lutto –se anche questo era l’obiettivo- non subisce uno scacco definitivo. Lascia degli spazi aperti di riflessione ma non va mai fino in fondo, disorientando lo spettatore che sino alla fine si chiede se stia seguendo la storia banale di un romanzetto mediocre o un surreale racconto la cui originalità sta tutta nella scontata geometria dei fatti che finisce per forzare il reale sconfinando nell’onirico.
Charlotte Gainsbourg è un’attrice straordinaria, fortemente espressiva, capace di entrare nel personaggio sino al punto da riuscire a raccontarne l’identità, l’emotività, lo spessore, la debolezza senza necessità di parlare. È la grande deuteragonista di Melancholia, il film del 2011 di Lars Von Trier. Nella pellicola della Bertuccelli la sua interpretazione è perfettamente coerente con quest’atmosfera d’indecisa presa di posizione in cui si trova lo spettatore. O forse addirittura è proprio la sua bravura a far virare il film dal baratro del melenso verso quello salvifico del metaforico.
Morgana Daves, Simone, è semplicemente grandiosa. Il film rinasce in molte scene anche grazie a lei, che davvero lascia incantanti. Indagare la perdita attraverso i suoi occhi è come possedere una lente di ingrandimento sul mondo delle emozioni umane. Lei, la Gainsburg e la fotografia sono il punto d’approdo più riuscito di questo film che però non convince.
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L’albero
Titolo originale: L'Arbre
Regia di Julie Bertuccelli
Basato su un romanzo di Judy Pascoe
Sceneggiatura di Elizabeth J. Mars e Julie Bertuccelli
Fotografia di Nigel Bluck
Montaggio di François Gédigier
Con: Charlotte Gainsbourg (Dawn); Morgana Davies (Simone); Marton Csokas (George); Christian Byers (Tim); Tom Russell (Lou); Gabriel Gotting (Charlie); Aden Young (Peter).
Australia, Francia 2010

Uscita in Italia: 08/07/2011

Trailer ufficiale: https://www.youtube.com/watch?v=Gd6xA0zuDK0