Vederlo (in anteprima) in un cinema di Milano è sicuramente altra cosa rispetto a vivere l’esperienza di trovarsi al Queens Theatre di Londra. Questo incipit potrà sembrare una banalità, ma c’è un elemento ancor più incontrovertibile che caratterizza la versione cinematografica che il regista Tom Hooper (premio Oscar® per Il discorso del re) ha tratto da Les Misérables, il musical più longevo al mondo (scritto da Alan Boublil e Claude-Michel Schönberg, con le liriche di Herbert Kretzmer), visto da oltre 60 milioni di persone in 42 Paesi e tradotto in 21 lingue differenti: 150 minuti di pura emozione, dal palcoscenico al grande schermo.
Un kolossal musicale nel quale, per la prima volta, gli attori hanno interpretato le canzoni registrandole in presa diretta con l’ausilio in cuffia del solo accompagnamento al pianoforte.
Tratto, come il musical, dall’omonimo romanzo di Victor Hugo, pubblicato nel 1832, il film è ambientato nella Francia post-rivoluzionaria del XIX secolo e racconta una toccante ed epica storia di riscatto, sogni infranti e amori non corrisposti, seguendo le vicissitudini dell’ex forzato Jean Valjean (Hugh Jackman, che arriva a identificarsi quasi visceralmente con il suo personaggio, n.d.r.), braccato per decenni dall’integerrimo e spietato ispettore Javert (il premio Oscar® Russell Crowe), in seguito alla violazione della libertà condizionata.
Valjean si redime dopo aver incontrato sulla sua strada l’Arcivescovo di Digne (l’impareggiabile Colm Wilkinson, primo Jean Valjean fin dal debutto del musical al Barbican Theatre di Londra, l’8 ottobre 1985, n.d.r.). Divenuto imprenditore e rispettabile sindaco della cittadina di Montreuil-sur-Mer, Valjean, costretto nuovamente alla fuga dall’implacabile Javert, accetta di prendersi cura della piccola Cosette, figlia dell’operaia Fantine: in soli sei minuti di performance Anne Hathaway porta magistralmente a compimento la parabola discendente di una reietta ancora non completamente disincantata dalla vita, rendendo alcune delle pagine più emozionanti del musical (una su tutte I Dreamed a Dream, n.d.r.), altrettanti momenti cinematograficamente riusciti (tanto da meritarsi la nomination all’Oscar come migliore attrice non protagonista, n.d.r.).
Esilarante sotto il profilo attoriale, la coppia formata da Helena Bonham-Carter e Sacha Baron Cohen, sufficientemente credibili come lestofanti, nei panni dei coniugi Thenardier: Master of the House, la loro “I am song”, non poteva ottenere una resa cinematografica più completa sotto ogni punto di vista (lo stesso però non si può dire per il loro numero di “commiato”, Beggars at the Feast, che risulta visivamente più caotico e “trascurato”, n.d.r.).
In seguito, l’azione si sposta nella Parigi del 1832, dove giovani studenti repubblicani, in apprensione per lo stato di salute del generale Lamarque, premono per spingere l’intera popolazione alla rivolta. Ha inizio (idealmente) il secondo tempo del film, in un ambiente dai toni più accesi rispetto alle atmosfere intimistiche, ma cupe, della prima parte. Qui ritroviamo Valjean sempre in fuga, accompagnato da una Cosette ormai “sbocciata”, figlia dolce e devota, quanto determinata (Amanda Seyfried, che torna al musical cinematografico dopo Mamma Mia!, n.d.r.). Tra gli studenti in rivolta, c’è anche Marius Pontmercy, un giovane di estrazione nobile, che abbraccia gli ideali repubblicani di giustizia e libertà, partecipa con impegno e fervore alle barricate, ma troverà la sua completa realizzazione come uomo nell’amore per Cosette: Eddie Redmayne risulta sicuramente all’altezza di questo ruolo, ma, soprattutto nei duetti d’amore cantati con Cosette, svela un utilizzo della voce a tratti “eccessivamente lirico e portato” che, personalmente, suscita qualche perplessità. A capo della rivolta sulle barricate, il carismatico Enjolras, interpretato dall’appassionato Aaron Tveit, ottimo per presenza scenica (magistrale la scena della sua morte, n.d.r.)
Un debutto cinematografico “in stato di grazia”, quello di Samantha Barks, come Eponine, ruolo da lei già interpretato sul palcoscenico della Royal Albert Hall, in occasione del 25° anniversario del musical: la celebre On My Own, ma anche la struggente A Little Fall of Rain, interpretate sotto la pioggia, trasmettono un’emozione indescrivibile.
Provengono da Les Mis teatrale anche i giovanissimi Isabelle Allen e Daniel Huttleston, i quali, nei rispettivi ruoli di Young Cosette e Gavroche, confermano anche al cinema la tradizione secondo cui i due interpreti più giovani del cast coltivino un talento fuori dal comune, apprezzato da qualsiasi tipo di platea. A Colm Wilkinson, sempre come Arcivescovo di Digne, il regista Tom Hooper ha inoltre riservato un “cameo” conclusivo, nel momento del trapasso di Valjean: quasi come un simbolo della misericordia divina, il prelato lo invita a unirsi al coro di uomini e donne che, in un luogo senza catene, hanno trovato il riscatto della propria vita.
Qualche parola si può ancora spendere sull’interpretazione di Russell Crowe: innegabile una certa difficoltà sulle “intenzioni”, che rendono la sua aderenza al personaggio lontana dalle interpretazioni di coloro che hanno reso celebre il ruolo di Javert a Londra (penso a Philip Quast nel concerto per il decimo anniversario del musical o a Norm Lewis, che ho potuto apprezzare dal vivo al Queens Theatre nel 2010, n.d.r.). Ma, forse anche per questo, il suo sforzo nel canto, più ancora che nella recitazione, va riconosciuto come valore aggiunto.
Il regista Tom Hooper, in questa trasposizione dal palcoscenico al grande schermo, non ha sacrificato l’andamento narrativo del musical alle esigenze cinematografiche, con il risultato di un arricchimento complessivo, anche grazie alle scelte compiute su alcune scene: What Have I Done, cantata all’interno di un’abbazia; Russell Crowe che interpreta Stars, in bilico sul davanzale di un palazzo del potere parigino di fronte all’imponente cattedrale di Notre Dame – presagio di quel percorso che lo condurrà verso un tragico, quanto cinematograficamente ancor più spettacolare destino; Do You Hear the People Sing? inserita nella scena del corteo funebre per il generale Lamarque; e naturalmente, One Day More, una delle pagine di maggior impatto emotivo scritte per il teatro musicale, anche sul grande schermo risulta un trionfo per gli occhi, le orecchie e il cuore.
Una scelta coraggiosa anche il ricorso (a tratti probabilmente eccessivo) ai primi piani, elemento che sicuramente incide su alcuni aspetti interpretativi legati particolarmente alla recitazione.
Proprio questa notte il film si è aggiudicato tre Golden Globes: miglior film, miglior attore protagonista (Hugh Jackman) e migliore attrice non protagonista (Anne Hathaway).
Ora c’è grande attesa per gli Oscar che saranno consegnati il 24 febbraio e per i quali il film ha ottenuto otto candidature, tra cui ricordiamo anche la miglior canzone originale (Suddenly, composta appositamente per la pellicola), migliori costumi, scenografie, trucco e parrucco (le “lovely ladies” del film sembrano avere alcuni tratti di sorprendente somiglianza con i “gatti” di Andrew Lloyd Webber, n.d.r.).
Il film esce in Italia il 31 gennaio; un “must”, anche al cinema, per gli appassionati, ma se ne consiglia la visione a chiunque voglia allargare il proprio concetto di musical cinematografico oltre lo stile Buz Luhrmann e il suo Moulin Rouge.