Nella mostra dedicata a Ugo Mulas: Esposizioni. Dalle Biennali a Vitalità al negativo (Triennale di Milano) è possibile cogliere i vari passaggi che conducono il fotografo all’ultima stagione artistica della sua vita rappresentata da un mutamento radicale della sua concezione fotografica, che lo spinge ad approdare dal reportage alla fotografia concettuale. L’attività di fotografo ufficiale alle biennali di Venezia gli consente sin dal 1962 di confrontarsi con un mondo artistico che sta rivoluzionando non soltanto il consueto modo di far arte, ma anche di viverla, di esperirla, di abitarla. I ritratti dei grandi artisti di Mulas cominciano ad abbandonare la maniera bressoniana, per essere costruiti sulla base di un’idea nuova del tempo, che non vuol aver nulla a che fare con l’istante decisivo trattandosi di un tempo dilatato in cui osservatore, osservato, fotografo e gesto non comunicano attraverso lo spontaneismo ma attraverso un concetto decodificabile e reinterpretabile. Si pensi alla foto di Marcel Duchamp (New York, 1964-1965) che fuma il sigaro seduto a un tavolino nell’atto di osservare una fotografia che lo ritrae mentre gioca a scacchi con una donna nuda. Per questa via Mulas approderà al provino a contatto e alle Verifiche, la terza delle quali è realizzata in occasione della mostra Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-70, che si tenne a Palazzo delle Esposizioni a Roma nel 1970, curata da Achille Bonito Oliva e organizzata da Graziella Lonardi. Il volume Ugo Mulas. Vitalità al negativo era stato ideato allora, in occasione della mostra, dallo stesso Mulas con la Lonardi.
«Cara Graziella, dopo tanti anni si realizza finalmente il libro su “Vitalità del negativo” che tu e Ugo avevate pensato nel 1970. Erano anni eccezionali. Tu avevi gli occhi di fuoco e Ugo si era immerso nella vacanza romana dentro a Palazzo delle Esposizione, a scrivere quella vicenda epica che raccontava un nuovo modo di concepire l’arte visiva» (Antonia Mulas, p. 203).
Il testo doveva testimoniare il superamento della distinzione tra arte e fotografia che «si presentavano ancora distinte, figurando di intrattenere un rapporto strumentale» (Sergio, Vitalità in negativo: l’immagine di una mostra, p. 11). Oggi esso fa molto di più: documenta in modo preciso e puntuale la ventata artistica che spirava nel 1970, dandoci misura dei nuovi orizzonti tracciati e del coraggio necessario a marcarli. E lo fa attraverso le fotografie di Ugo Mulas, esse stesse opere d’arte.
Emerge così, leggendo e osservando le immagini, la dimensione fenomenologica che l’arte allora aveva cominciato ad acquisire e a sondare. Dell’opera d’arte si faceva esperienza col proprio corpo, l’opera stessa diveniva il modo per esperire l’aura, attraverso l’indagine e la sussunzione a opera d’arte di tutti gli attributi materici, visivi e auditivi senza i quali non ci sarebbe alcuna opera d’arte: lo spazio, la luce, la cornice, la tela, il colore, la forma, la memoria, la misura, il niente, il naturale, l’artificiale, la superficie, la geometria, il gesto, la simmetria, il suono, i rumori, il ludico. E di ognuno di essi il contrario. Per cogliere dell’arte «la ricostruzione manuale dell’universo», la «rifondazione antropologica del mondo» (Oliva su Pino Pascali, p. 154). Persino l’esperienza di abitare il confine che separa gli opposti o semplicemente di osservarlo in una sua possibile fisicità o di vedere se stessi mentre lo sguardo è catturato dall’opera che sta di fronte diveniva opera d’arte. E mentre si indagava l’aura, questa sembrava infrangersi, di essa cominciava a sentirsi il fetore del putridume e così si coglieva «la trasformazione alchemica della realtà e del suo riporto dalla stato basso della materia allo stato alto dell’opus» (Oliva su Vettor Pisani, p. 158). L’osservatore era dunque condotto in un mondo che per essere vissuto necessitava di un iniziale impegno: bisognava abbandonare gli ormeggi del certo e lasciarsi condurre dall’architettura dell’esposizione che sin dall’ingresso –grazie a un elemento nero di stoffa ideato da Piero Sartogo, che ridefiniva e riqualificava lo spazio neoclassico di Palazzo delle Esposizioni- era connotata da interventi segnici, per dirla con Oliva, ovvero da «codici per introdursi nelle stanze degli artisti» (Oliva su Piero Sartogo, p. 172) per viverle, per osservarle, per abitarle. Trasversalmente tutte le opere profumavano di temporalità. Il tempo era il grande attore. Ma perché Vitalità del negativo? Lo spiega Oliva nel testo introduttivo: «L’arte come produzione e offerta di opere, che è merce e nello stesso tempo offerta di contagio sociale. Il contagio è la valenza ideologica, è la velenosa presenza, l’impura vitalità contenuta nell’oggetto morto, nel gesto circoscritto dell’opera. Il negativo, come l’ineluttabile soglia dove si consuma e approda la coscienza infelice dell’arte, come consapevole distacco e lucida impotenza di un mondo che si modifica altrove» (Oliva, “Vitalità del negativo” e le sue stanze, p. 45).
Ecco il contesto nel quale opera Ugo Mulas che, come ben ci spiega Giuliano Sergio, «stava già tracciando una via antimodernista, in equilibrio tra funzione e opera, che portò alle Verifiche e alla nascita della fotografia contemporanea» (Sergio, p. 14). La metamorfosi di Mulas da fotoreporter a fotografo concettuale, da artista che scioglie il nodo della rappresentazione modernista, è segnata da due tappe importanti: la mostra di Spoleto, Sculture in città (1962), in cui l’arte accade nel teatro del fotografo senza perdere la sua aura, e l’esposizione di Foligno (1967), in cui «è l’arte a imporsi come teatro vuoto, luogo dove il fotografo potrà invertire la sua ricerca e iniziare la narrazione della propria operazione fotografica» (Sergio, p. 17). È qui che comincia a nascere in Mulas il bisogno di indagare il tempo fotografico. È ormai al di là dell’idea bressoniana dell’istante decisivo. Saranno alcuni personaggi illuminati a permettere a Mulas di approfondire la sua ricerca. Galleristi come Plinio De Martiis, Fabio Sargentini, curatori e organizzatori come Achile Bonito Oliva e Graziella Lonardi che hanno particolare attenzione non soltanto per l’architettura della galleria ma anche per la registrazione fotografica dell’esposizione. Addirittura c’è chi, come Seth Siegelaub, si fa promotore di una mostra virtuale in cui è il catalogo l’unico luogo dell’esposizione. Ma è senza dubbio nel 1969, l’anno della manifestazione comasca Campo urbano, che Mulas si interroga sul rapporto «tra funzione informativa e valore estetico della fotografia. A Como il fotografo rinuncia alla tradizionale forma del reportage per adottare il provino a contatto in quanto immagine a se stante» (Sergio, p. 24). Il valore del provino sta tutto nella capacità di mostrare l’invisibile, a cominciare dalla dimensione temporale della fotografia. Con esso si determina il superamento dell’assolutismo bressoniano a favore di un tempo fotografico in cui l’istante cede il passo a un tempo che rappresenta l’esperienza estetica, che dunque si dilata sino a rappresentare l’«incontro con l’artista, con l’opera e con l’evento» (Ibidem). Da qui le Verifiche (1969-1972): fotografie che hanno per soggetto la fotografia stessa. Mulas le intitola Verifiche perché probabilmente si trattava di verificare l’arte fotografica e le sue potenzialità, la prima è un omaggio a Niépce, l’ultima a Duchamp. La terza, intitolata Il tempo fotografico, è dedicata a Jannis Kounellis che nella mostra Vitalità del negativo esponeva in un grande spazio quadrato un pianoforte a coda che un suo amico musicista, due volte al giorno, suonava: si trattava sempre dello stesso pezzo del Nabucco, modificato da Kounellis. Mulas voleva rendere il senso dell’ossessione della musica e la conseguente circolarità temporale che generava: «Il risultato è stato un intero rullo di trentasei fotogrammi in pratica identici. […] È l’ossessione dell’immagine ripetuta a far emergere la dimensione del tempo fotografico» (Mulas, Verifica 3. Il tempo fotografico. A Jannis Kounellis, p. 38).
La mostra alla Triennale è aperta sino al 9 settembre. Nel bookshop è possibile acquistare il volume Ugo Mulas. Vitalità al negativo.
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Catalogo
Ugo Mulas. Vitalità al negativo
Giuliano Sergio (a cura di)
Jhoan & Levi Editore
Milano 2010
Pagine 207
Mostra
Ugo Mulas: Esposizioni. Dalle Biennali a Vitalità al negativo
A cura di Giuliano Sergio e Archivio Ugo Mulas
Triennale di Milano
Dal 14 giugno al 9 settembre 2012
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Note
Le indicazioni bibliografiche riportate tra parentesi sono tutte da riferirsi al catalogo Ugo Mulas. Vitalità al negativo.
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Informazioni
Per visionare le Verifiche e leggere i relativi testi di Ugo Mulas: cliccare qui
Sito di Ugo Mulas: www.ugomulas.org
Triennale di Milano: www.triennale.it
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Didascalia immagini in ordine di apparizione
Getulio Alviani, Rilievo a riflessione con incidenza ortogonale, praticabile, 1967-1970 in Vitalità del negativo, Roma, 1970. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Campo urbano, Tempo libero. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Marcel Duchamp, New York, ottobre 1967. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Le opere degli artisti pop trasportate in laguna, Robert Rauschenberg, Ranocchio (1964), Venezia, Biennale 1964. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Michelangelo Pistoletto, in Vitalità del negativo, Roma, 1970. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Vettor Pisani, Camera dell'eroe (Venere di cioccolato), 1970, in Vitalità del negativo, Roma, 1970. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Roy Lichtenstein e Leo Castelli nella sala di Roy Lichtenstein, Venezia, Biennale 1966. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Russia. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Sculture nella città, Spoleto, 1962. David Smith. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.
Verifica 3. Il tempo fotografico. A Jannis Kounellis. Fotografie di Ugo Mulas © Eredi Mulas. Tutti i diritti riservati.