Cinema

Magic In The Moonlight

Magic In The Moonlight

L'illusionista cinese Wei Ling Soo è il più celebrato mago della sua epoca, ma pochi sanno che il suo costume cela l'identità di Stanley Crawford, uno scorbutico ed arrogante inglese con un' altissima opinione di sé stesso ed un' avversione per i finti medium. Convinto da un vecchio amico, Stanley si reca in “missione” nella residenza della famiglia Catledge, in Costa Azzurra.  Si presenta come un uomo d'affari  per smascherare la giovane ed affascinante chiaroveggente Sophie Baker che risiede lì insieme alla madre.  Ma, con sua grande sorpresa e disagio, Sophie si esibisce in diversi esercizi di lettura della mente che sfuggono a qualunque comprensione razionale e che lasciano Stanley sbigottito...

Appassionato di magia Woody Allen lo è sempre stato e non ha mai mancato di farcelo presente in molte delle sue pellicole: dal mago da quattro soldi da lui interpretato in Scoop, all’ ipnotizzatore che nel delizioso La Maledizione Dello Scorpione Di Giada lo costringe a delinquere, passando da Ombre e Nebbia dove è un gioco di specchi e di illusione a salvare il protagonista da un pericoloso assassino, fino ad arrivare al piccolo borghese vittima di una Yiddish mame divenuta onnipresente in “formato gigante” a causa di un prestigiatore fanfarone nel film collettivo New York Stories. Non stupisce quindi più di tanto che con Magic In The Moonlight Allen torni in modo rassicurante ed innocuo a temi a lui cari, prendendo spunto da quello che fu il lato meno conosciuto del mago Harry Houdini. Il celebre illusionista infatti dedicò la seconda parte della propria carriera allo smascheramento - ed in alcuni casi anche alla persecuzione - di falsi medium e spiritisti fino a diventare il terrore di truffatori e millantatori (per approfondimenti, evitare come la peste l’ approssimativa e “fantasiosa” recente miniserie Houdini con Adrien Brody e recuperare il bel volume Il Grande Houdini di Massimo Polidoro). Così, accantonati per il momento disincanto e realismo cinico, Allen torna a toni più leggeri, quasi vacui e giocosi, e si lascia alle spalle il nichilismo e le riflessioni che caratterizzavano il precedente, bellissimo, Blue Jasmine.

I dubbi e le domande (destinate a rimanere irrisolte sia nella realtà sia nella finzione cinematografica) che pone Allen sono fondamentalmente le solite: l’ esistenza di un Dio (pietoso, indifferente come in Crimini e Misfatti o vendicativo poco importa), l’ amore come – forse - senso della vita (con buona pace di Interstellar e del suo "amore come quinta dimensione” dell’ esistenza), la possibilità e la speranza (perché era proprio la speranza che spronava Houdini - e per “induzione” sprona il protagonista Colin Firth - nella sua ricerca di verità) di una vita ultraterrena dopo la morte.
Alleggerendo i toni rispetto a Blue Jasmine, duro dramma caratterizzato dall’assenza totale di Dio, “personaggio” forse per la prima volta assoluta nella filmografia alleniana mai nemmeno preso in considerazione né addirittura mai nominato (infatti i guai che conducevano alla follia Jasmine non erano conseguenza di una volontà o mancato intervento di un essere superiore bensì, più prosaicamente e molto più materialmente, causati dalla mancanza del “dio” denaro, andato a soppiantare qualsiasi entità metafisica), in Magic In The Moonlight la presenza del divino o comunque del magico – seppur continuamente messa in dubbio dall’ alter ego di Houdini / Allen  - resta tangibile. Ciò riconduce la pellicola nei tipici territori tematici nei quali Allen ha buon gioco, portando a casa un dignitoso risultato senza particolare sforzo. I dialoghi spesso arrancano anche se rimangono comunque una spanna sopra la produzione media di quanto ora c'è in circolazione mentre fra i  protagonisti, pur come sempre azzeccatissimi (su questo Allen non si può discutere nemmeno a volerlo fare), aleggia un' aria di stereotipo alleniano visto per l' ennesima volta. A farne le spese su tutti il già citato Colin Firth: tocca a lui, a questo giro, essere la mimesi del regista riproponendone la recitazione sincopata ed i tic scenici. Firth da bravissimo attore quale è, riesce perfettamente nella riproposizione ma di fatto annulla completamente qualsiasi sua interpretazione personale, finendo per far spiccare maggiormente i comprimari Emma Stone e – soprattutto – Eileen Atkins nella parte della zia del protagonista.

E’ inutile aspettarsi innovazioni o stravolgimenti di stile che finiscano per etichettare Woody Allen ancora una volta, ciclicamente ad ogni film riuscito, “genio del cinema”: Magic In The Moonlight alla fine rimane un’ operina esile, imperfetta, forse anche inutile. Ma chi l’ ha detto che ogni film debba per forza cambiarti la vita?