Cinema

Riuscitissma la seconda edizione di Queering Roma festa glbt della Capitale

Riuscitissma la seconda edizione di Queering Roma festa glbt della Capitale

Si è aperta ieri la seconda edizione di Queering Roma, la festa del cinema gay lesbico bisex e trans della Capitale, sostenuto finanziariamente da Provincia e Regione, patrocinato dal Comune di Roma e inserito nella pletora di iniziative per l'Europride che vedono la settimana ricca di appuntamenti prima della parata di sabato 11 giugno.
Molti gli interventi alla presentazione ufficiale di Queering, tra esponenti delle Istituzioni e quelli del Comitato Europride, e i responsabili dei tre festival di film a tematica glbtqi dalle programmazioni dei quali sono stati scelti i film per questa seconda edizione della festa. Allo storico festival di Torino Da Sodoma a Hollywood, (il cui direttore Giovanni Minerba anche quest'anno si è distinto per la verve polemica rimproverando i romani per la scarsa presenza in sala di spettatori) che aveva costituito l'unica fonte dei film della passata edizione, si sono aggiunti quest'anno due importanti festival bolognesi quali Divergenti dedicato al cinema transgeder, diretto da Porpora Marcasciano e Some Prefer Cake dedicato a quello lesbico e diretto da Luki Massa.
Lungimiranti le parole dell'Assessore alla cultura Cecilia D'Elia che ha ricordato l'importanza del cienma come strumento di coesione sociale, mezzo squisitamente culturale per favorire la comprensione e il riconoscimento di tutte le componenti della società, concetto ribadito da Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay presente in sala in veste di organizzatore dell'Europride, assieme a Rossana Praitano del Mario Mieli la quale ha colto l'occasione per rivendicare il successo dell'Europride che ha visto le istituzioni locali, di destra come di sinistra, sostenere il pride a cominciare dal Comune (che a Queering però ha dato solo il patrocinio, senza finanziamento, ma per Praitano è cosa giustificabile visto che il comune ha sostenuto altre iniziative del Pride, come se il festival fosse solamente del Pride e non dell'intera città). Per sentire invece qualche parola sulla mancanza di diritti della comunità glbtqi italiana è dovuta intervenire Lucia Ocone madrina di questa seconda edizione di Queering.

Il programma di Queeirng si caratterizza per una doppia e contemporanea programmazione che impone dunque, data la mancanza del dono dell'ubiquità di chi scrive, una scelta tra i film da vedere, una scelta sulla carta visto che i film sono tutti inediti a Roma e poco visti in generale (in Italia) dato l'argomento che affrontano che non ne favorisce certo una distribuzione nei circuiti ufficiali (ed è sempre stata Lucia Ocone ad auspicare che questi film vengano distribuiti sempre con maggiore frequenza nel nostro Paese, anche se lei si riferiva in particolare a quelli italiani).
Dopo un problema tecnico ai sottotitoli che ha fatto saltare la proiezione delle 18 (che prevedeva due documentari rispettivamente sulla situazione delle persone omosessuali nella Cina contemporanea e su una coppia gay Australiana vittima di una grave violenza omofoba) abbiamo scelto due film, uno di fiction e un documentario  che presentano lo stesso personaggio: un transf to m che transita cioè da donna (female) a uomo (man) . (Ne approfittiamo per ricordare ai lettori e agli eventuali colleghi che leggeranno queste righe che riferendosi alle persone transessuali aggettivi e sostantivi si accordano al sesso di arrivo, non a quello di partenza: si dirà dunque LE trans per gli uomini transitati in donna e I trans per le donne transitati in uomini sperando che la pessima abitudine di chiamare persone evidentemente femminili il trans venga abbandonata una volta per tutte).

Romeos (Germania, 2011) di Sabine Bernardi racconta di Lukas, un giovane di 20 anni (non 25 come riportato nel programma) che raggiunge la sua migliore amica Ine presso un centro che accetta tirocinanti infermieri. Tra serate dedite all'alcool e alle sigarette, e nuove amicizie maschili Lukas viene percepito da tutti come ragazzo anche se in realtà è una ragazza (e infatti è stato assegnato per questo al dormitorio femminile) che ha appena intrapreso il percorso di transizione f to m iniziando le punture di testosterone.
Il film si concentra intelligentemente non sul tormento interiore di Lukas ma sulla suo desiderio di essere desiderat* dai ragazzi in quanto maschio.  La costruzione di un corpo maschile, ancora non modificato chirurgicamente, è per Lukas il viatico per esprimere appieno la propria identità di genere, il suo essere una persona desiderante che ama gli uomini e vuole amarli da uomo. Così quando riceve le attenzioni di Fabio, un ragazzo di origini italiane che passa di ragazzo in ragazzo, Lukas si lascia sedurre ma non ha il coraggio di confessargli di essere in transizione. Fino all'inevitabile scoperta che porta Fabio ad allontanarsi.  Ma l'attrazione per il corpo di Lukas dall'aspetto maschile sembra prevalere in Fabio (e negli spettatori...) al di là del sesso biologico su cui quel corpo sta costruendo la propria immagine identitaria, nonostante Fabio non sia innamorato di Lukas e sia anzi alquanto promiscuo. Ed è proprio la via dell'attrazione fisica, il fatto cioè che Fabio sia attratto da Lukas in quanto ragazzo è per il protagonista in fase di transizione il più bel riconoscimento dell'identità sessuale desiderata.
Il film pur descrivendole tralascia tutte le questioni che ogni transizione porta con sé: il sessismo, l'attribuire cioè certi caratteri comportamentali al sesso e non alla persona, il cambiamento di carattere dovuto all'assunzione di ormoni, il conformismo di chi, per dimostrare di essere del sesso opposto abbraccia i più triti cliché si quel genere sessuale, e concentra tutto sul desiderio. La fisicità sociale non quella anatomica dell'intimità della camera da letto ma quella del corpo diversamente sessuato come maschile anche se biologicamente femminile.
Un film indimenticabile che contribuisce a creare un immaginario collettivo altro rispetto le istanze di identità sessuale.

Becoming Chaz (USA, 2010) di Fenton Bailey e Randy Barbato è un documentario voluto e prodotto da Chaz Bono che documenta il suo cammino (parziale e non completo all'epoca in cui è stato girato) di transizione da donna  a uomo. Chaz nasce all'anagrafe Chastity Bono la figlia di Cher e Sonny Bono.
Il documentario racconta sia del percorso clinico che l'ha portata all'eliminazione dei seni ma anche la solidarietà della sua famiglia e la perfida dei media che ne hanno alimentato pettegolezzi e cattiverie.
Al contrario di Lukas Chaz ama le donne e praticamente impone alla sua ragazza di smepre il proprio  cambiamento di sesso. Tra cliché sui comportamenti di genere riportati dalla sua famiglia (che trova in  Chastity fin da piccola certi comportamenti "maschili"  come una certa propensione all'attività fisica), al lavoro di volontaria di Chaz fa per aiutare minori trasngender (bambini in età prepuberale che desiderano essere identificati col sesso opposto  a quello biologico) il documentario pur dando per scontati alcuni passaggi che avrebbero richiesto maggiori spiegazioni è un interessante tributo al pragmatismo con cui gli Stati Uniti affrontano il transgenderismo. Intanto Chaz è risuscito  a ottenere il cambiamento di sesso sui documenti senza aver concluso il suo percorso di transizione (e senza essere obbligato a farlo) a differenza della legge italiana che impone di fatto la riconversione chirurgica totale per ottenere il cambio di sesso sui documenti.

Due film che da punti di vista diversi e con risultati diversi forniscono spunti di riflessione non solo a chi poco conosce il percorso di transizione trans-essuale ma anche a molte persone della comunità glb che pur partendo da istanze completamente diverse come quelle legate all'orientamento sessuale (che nulla a a che fare con l'identità di genere) hanno scelto di fare causa comune unite dallo stesso stigma con cui trans  e omosessuali sono (per usare un eufemismo) spinti ai margini della società.

Uno splendido debutto per la seconda edizione di Queering.

Domani sempre in questa news rendiconteremo dei film proposti nella seconda giornata.

 

Sabato 4 giugno

Confrontando alcuni dei film programmati nella seconda giornata di questa seconda edizione di Queering Roma la festa del cinema a tematica glbt di Roma abbiamo avuto la conferma di un'impressione che ci segue e della quale scriviamo da almeno vent'anni e cioè che i film gay, rispetto quelli lesbici, siano incentrati esclusivamente  sul sesso e sulla sua rappresentazione inopinata come se la parola omosessualità si riferisse al sesso...
E' così per Sa-rang-eun Back-do-cee (Corea del Sud, 2010) di Kim-Jho Gwang-soo che racconta di un giovane ragazzo sordo, vessato dal fratello minore,  che scopre nel bagno pubblico dove si reca spesso oltre ad aiutarti a lavarti la schiena ti offrono anche altro. Così il cortometraggio ci propone scene ripetute di sesso orale lasciando invece sullo sfondo elementi più interessanti quali i rapporti familiari (la gerarchia che vuole il fratello maggiore imporsi sul minore), il pregiudizio omofobico che è radicato anche in Corea senza che il corto nulla ci dica circa le leggi di quel paese, sui diritti delle persone omosessuali. Anche il percorso personale di riscatto del protagonista (che riesce  a imporsi sul fratello minore solamente per il desiderio sessuale di recarsi al bagno pubblico da solo) non gli dà il coraggio di difendere il ragazzo col quale fa sesso che, sorpreso da un altro frequentatore del bagno, è insultato e picchiato con l'asciugamano. A quelle immagini il nsotro se la fila a gambe levate e, nei titoli di coda, lo vediamo piangere, da solo, nello stesso bagno. Un film dove la denuncia dell'omofobia non assume mai un aspetto pubblico ma rimane un problema intimo e privato del protagonista.

Lo stesso vale per Wu Yan Hua, Mi (Cina, 2011) di di Kevin Shen  che invece di raccontarci come l'omosessualità sia discriminata anche nella Cina post comunista ci racconta una storia d'amore molto borghese dove un ragazzo per vendicarsi del fidanzato che ha deciso di sposarsi con una donna (senza che ci venga spiegato il perché se si tratta di convenienza sociale, economica o chissà cos'altro) si intrattiene sessualmente con un altro ragazzo (e i loro rapporti fisici sono continuamente mostrati) col quale si vendica del fatto che il suo fidanzato si sia sposato con un'altra. Quest'altro ragazzo è un massaggiatore che pratica anche prestazioni sessuali (non protette). Alla fine del mediometraggio quando il fidanzato ufficiale torna dal viaggio di nozze  il protagonista si accorge di non amarlo più e torna dal massaggiatore.
Storia d'amore corriva e prevedibile che nonostante racconti anche, a saperli vedere, elementi del costume sessuale cinese (i rapporti sessuali senza protezione alcuna) indulge troppo sui dettagli sessuali a discapito dei comportamenti umani descritti coi tratti veloci e codificati del cliché. 


Anche We Once Were Tide (Gran Bretagna, 2011) di Jason Bradbury pur dando un diverso spessore a una storia d'amore tra ragazzo (uno dei due è costretto a rimanere al capezzale della madre malata, mentre l'altro lascerà presto l'isola dove vivono per andare a studiare fotografia all'università), ci mostra sempre e comunque l'atto sessuale come se ci fosse ancora bisogno di mostrare cosa (e come) due uomini fanno a letto...
Quel che manca a questi film è il coraggio di una denuncia del  pregiudizio omofobico che vada al di là del cliché delle storie  raccontate, o che approfondisca invece il percorso di visibilità che  molte persone omosessuali coraggiosamente fanno ogni giorno per  contribuire a far percepire l'omoerotismo come una normale differenza.


Dal versante lesbico il corto Pod Bluzka (Polonia, 2008) di Lucia von Horn pur sottraendosi alla tentazione del sesso mostrato non sa resistere al cliché della butch (la lesbica mascolina) e ci presenta tre ragazze poco classicamente femminili (e dunque lesbiche) compagne di classe sulla cui amicizia interferiscono innamoramenti incrociati  e poco corrisposti.
Un corto che si dimentica subito dopo averlo visto.


Divertente esercizio di stile, ma poco di più   Que el mundo sepa de mí (Argentina, 2010) di Mariana Giordano che racconta dell'amore segreto (che novità!) di due ragazze, le quali, costrette dai pettegolezzi di un ragazzo invidioso raccontano a tutto il paese del loro amore. Tutto questo cantando! Idea divertente ma la storia raccontata non esce dai cliché del film di genere "tematica omosessuale". Lo stesso divertissement costituisce


Mann Mit Bart (Bearded) (Germania 2010)di Maria Pavlidou racconta di una figlia che per affermare la propria indipendenza anche in fatto di orientamento sessuale decide di vestirsi da uomo e indossare una barba posticcia, come segno di emancipazione e autodeterminatezza. Meno peregrino di quanto non sembri da queste poche righe di descrizione il cortometraggio è una metafora del potere maschil-patriarcale della cultura turca di cui la ragazza è originaria e dalla quale cerca di affrancarsi senza evitare di confermarne  le implicazioni più maschiliste.

Il lungometraggio  Camminando verso (Italia, 2010) di Antonio Cazzillo racconta della storia d'amore tra Emina, di origini bosniache, e Antonia gestrice di un bar nel centro di Torino. Emina è sfuggita dagli stupri etnici che i bosniaci hanno inflitto alle persone musulmane come lei. Tutto questo viene raccontato da Emina quando Antonia le chiede di non nascondersi se vogliono intessere una relazione che vada al di là dell'amicizia.
Poi una sera Antonia ospita un bosniaco, che per lei è un connazionale di Emina, mentre per la donna è il nemico un rappresentante di quelli che hanno stuprato le donne musulmane come lei. Con un grande gesto di perdono Emina riesce a lasciarsi alle spalle quel passato di dolore e violenza a e continuare la sua vita al presente.
Un film ambizioso, ben girato, ben diretto ma mediocremente interpretato, che ha il difetto di essere troppo letterario e poco cinematografico perchè la storia procede tramite i dialoghi e non le immagini la cui funzione è solo di raccordo tra un gruppo di dialoghi e l'altro. Film di una lentezza esasperante racconta in 75 minuti una storia che poteva essere raccontata tranquillamente in 45, Camminando verso è algido, cerebrale, che dice ma non sente gli orrori di cui parla che dimostra di non conoscere bene e di non cogliere davvero (emina non ha nulla di musulmano finché lei non lo dice ad Antonia) rischiando di diventare un retorico espediente letterario per coniugare l'omosessualità con la diversità della migrante col risultato di non parlare davvero di nessuno dei due.
Prima della proiezione in sala sono stati presentati il regista e la sceneggiatrice e Giovanni Minerba presente in sala è voluto intervenire per sottolineare come, nonostante possa sembrare strano che un uomo diriga un film lesbico, il modo in cui
Cazzillo dirige, lui, Minerba, non lo ha mai visto fare a una donna, una dichiarazione misogina e patriarcale della quale non c'era il minimo bisogno, passata nell'indifferenza generale.

L'ultimo film della serata è Como esquecer (Brasile, 2010) di Malu de Martino tratto dal romazno Como Esquecer – Anotações Quase Inglesas di Myriam Campello. Un film notevole ben recitato e splendidamente diretto che racconta delle vicissitudini di Julia, una docente universitaria di letteratura inglese che deve elaborare il lutto della fine della storia di dieci con Antonia (che nel film non vediamo mai) tra studentesse brillanti ma invadenti e arroganti, amici gay che hanno appena superato un lutto concreto e che le impongono un cambiamento di vita che Julia forse non vorrebbe, il trasferimento dalla città alla campagna e l'incontro con una donna che le dimostra che l'amore è ancora possibile (ma alla quale rinuncerà perchè l'amore richiede molto ma lei al momento ha poco da dare). Tra citazioni di Cime tempestose di Emily Bronte e una colonna sonora indimenticabile (Da Elis Regina  a K.D. Lang) un film splendido che mostra come amare sia doloroso ma che si sopravvive anche alla fine di un amore e dove il sesso è contestualizzato in una vita nella quale trova la sua giusta dimensione ma non è l'unica né la precipua coordinata del racconto.

 

Domenica 5 giugno

La giornata conclusiva di Quuering non ha visto il calo di spettatori nonostante una pioggia che non invogliava certo ad uscire. Tra i film che abbiamo visto solo una vera sorpresa, il resto banale routine o ingombrante imbarazzo.

   
XY Anatomy of a Boy (Danimarca, 2009) di Mette Carla Albrechtsen è un documentario che raccoglie la testimonianza del vissuto di alcuni studenti della scuola secondaria, che parlano con disinibizione di sesso anale, coming out e primi amori. Interessante soprattutto per l'immaginario collettivo evocato da questi giovani omosessuali danesi che sanno analizzare cliché di genere con quelli dell'orientamento sessuale citando Shakespeare.


Il corto Nuvola benedetta (Italia, 2010) di Chiara Pacilli racconta di una classico incontro avvenuto casualmente che sfocia presto nell'amore. Anche se non usciamo dall'alvo della vita sessual-privata il corto ha il pregio di raccontare la storia solo per immagini, senza dialoghi, sostituiti da brani di telegiornali e radiogiornali che riportano alcuni fatti pubblici da quelli più vicini ai protagonisti della storia (il festival torinese Da Sodoma a Hollywood, la nuvola del vulcano islandese, cui fa riferimento il titolo, che impedisce le partenze degli arei) a quelli più generali (dichiarazioni omofobiche del Vaticano, polemiche sull'autenticità della sacra Sindone) in una complessa partitura visiva che vede questa storia privata ineluttabilmente intrecciata alla vita pubblica e politica della città piemontese. Un esperimento interessante e riuscito che si impone anche per l'aspetto dei due protagonisti che sono due persone semplici e normali non straordinariamente avvenenti come di solito accade ai protagonisti delle fiction a tematica omosessuale.

Inutile invece Gun Hill Road (Usa, 2011) di Rashaad Ernesto Green un filma  cavallo tra bande messicane e transgenderismo. Il film inanella tutti i luoghi comuni del caso senza affrontare alcun argomento in profondità, commettendo l'errore di mostrare le difficoltà di un padre, uscito di galera sula parola,di accettare il transessualismo del figlio come problema personale e non come problema sociale che tocca da vicino quel patriarcato cui appartiene lo stesso codice d'onore che lo consiglia a relazionarsi con il resto del mondo. Un film che si dimentica subito dopo avero  visto. 

discorso a parte per il documentario Die Jungs Vom Bahnhof Zoo (Germania, 2011) di di Rosa von Praunheim che parte come documentario storico della prostituzione maschile a Berlino ben prima della riunificazione delle due germanie ma che si trasforma ineluttabilmente e impercettibilmente in un ambiguo manifesto sulla prostituzione individuandone le cause nell'origine etnica dei prostituti (tutti migranti) senza mia parlare dei clienti mettendo tutto sullo stesso piano, omosessualità, prostituzione e pedofilia. Un film che avrebbe richiesto un dibattito dopo la sua visione. Il pubblico invece, abbandonato a se stesso o applaude, soddisfatto dei paletti xenofobi che il documentario surrettiziamente pone, o abbandona indignato la sala prima della fine del film.


Unica versa sorpresa della giornata il tenero dolorosissimo Quelque jours de repit (Francia|Algeria, 2010) di Amor Hakkar che, con lo stile della commedia, ci racconta di un tentativo di fga di due omosessuali iraniani. Un attempato professore di Francese e il suo adulto compagno che, giunti in una cittadina di provincia francese, diretti  a Parigi, incontrano l'ospitalità e la generosità di una donna anziana (una splendida Marina Vlady) che si invaghisce del professore il quale le nasconde l'amante (letteralmente in casa prima di finirci a letto per educazione, per desiderio, perchè trova in lei la stessa solitudine che c'è in lui (il temperamento ben diverso del suo adulto ma giovane compagno non lo fanno sentire compreso) fino all'espulsione finale dalla Francia per clandestinità e all'uccisione per impiccagione di cui il film ci avvisa con un cartello.
Lontano anni luce dalla classica caratterizzazione dell'omosessualità maschile (misogina, effeminata e contraria alle donne) i due personaggi maschili ritratti dal regista dimostrano come la dignità di genere sia una via percorribile e di come non si debba per forza assomigliare a Lady Gaga per essere un uomo che ama altri uomini e di come l'inumanità dell'Iran che impicca gli omosessuali non è poi così lontana da quella francese (europea che espelle i clandestini anche se sono innocui professori universitari bisessuali con la tristezza nel cuore per aver abbandonato la propria vita perchè la loro condizione personale ne mette a repentaglio la vita.  Indimenticabile.

Promossa a pieni voti questa seconda edizione speriamo che alla terza saranno possibili momenti di aggregazione degli spettatori che non vengano più lasciati da soli dianzi alla proiezione perchè se è vero che il cinema fa cultura bisogna dare modo a tutti di esprimere il proprio parere sulla cultura appena vista.