Roma, 4-9 novembre 2006
Un festival tutto dedicato al cinema israeliano e di argomento ebraico. Nasce il Roma Kolno’a Festival che verrà ospitato dal 4 al 9 novembre nelle sale della Casa del cinema e nel vicino Cinema dei Piccoli. Una rassegna che volge lo sguardo verso una cinematografia produttivamente in espansione ma che arranca nel trovare spazio nei circuiti distributivi italiani ed europei, tranne qualche rarissima eccezione. Le radici dell’iniziativa, “novità assoluta per Roma e anche per l’Italia”, sottolinea il direttore artistico Maurizio G. De Bonis, affondano nelle precedenti rassegne organizzate dal Centro Ebraico Italiano “Il Pitigliani”, che ora ha fortemente contribuito a costruire un festival vero e proprio. Ad esserne testimonial il regista Mimmo Calopresti che con la cultura ebraica ha stretto un particolare rapporto dopo e durante la realizzazione del documentario sulla Shoah Vovevo solo vivere. “Per me è un onore essere convolto in un progetto come questo – ha dichiarato – quando si parla di cinema sono ovviamente entusiasta, ancor più se si somma la cultura ebraica. Un mondo che ho conosciuto da vicino, fatto di tragedie ma anche di racconti di vita che hanno attraversato il pianeta. Ogni volta che mi affaccio sull’argomento Israele divampa il senso di infinitezza di una cultura difficile da indagare e che qualcuno ha tentato di sterminare. Un paese complesso in cui convivono pace e distruzione”. L’incursione nella storia e nella cinematografia di questo paese a metà verrà sollecitato dal Roma Kolno’a Festival, grazie a cui “si conoscerà l’altra faccia di Israele, quella non data dalla somma delle notizie dei tg – sottolinea Alazar Cohen, ambasciatore israeliano in Italia -. Quello che vediamo e leggiamo è solo una parte minima della realtà. Il cinema può aiutare aprirci gli occhi e a fungere da ponte di dialogo”. Sponsor
Due sono le direttrici su cui si muove il festival. Da una parte il cinema israeliano, dall’altra la cultura e il cinema ebraico. Nella prima troviamo due sezioni composte da docici film: La vetrina che propone titoli realizzati negli ultimi 3/4 anni, mai arrivati in Italia e la Retrospettiva, quest’anno dedicata a Uri Zohar, cineasta fortemente autoriale, influenzato dalle avanguardie dei primi del Novecento e dalla Nouvelle Vague. Nel 1967 con il suo capolavoro Shloshà Yamin VeYeled consentì al protagonista Oded Kotler di aggiudicarsi il premio per la miglior interpretazione a Cannes. Anche la seconda direttrice si dirama in due sezioni: Gli echi della Shoah nel cinema di Roman Polanski e la sperimentale Nuove riflessioni, sulla relazione tra il genere Spy Story e il pensiero ebraico. “Tutta la cinematografia di Polanski, dal primo corto all’ultimo lungometraggio è attraversata dal tema della Shoah, del razzismo, dell’ingiustizia, della prevaricazione dell’uomo sull’uomo”, spiega De Bonis. Otto saranno i film proiettati, da Il coltello nell’acqua (1962) a Oliver Twist (2005), da Cul De Sac (1966) a L’inquilino del terzo piano (1976), a Il pianista (2002). Mentre quattro saranno le spy story deprivate degli stereotipi più classici che circolano intorno al genere e al Massad, i servizi segreti israeliani. I titoli: Camminando sull’acqua (2004) di Eytan Fox, Munich (2006) di Spielberg, Storie di spie (1994) di Eric Rochant e Homicide (1991) di David Mamet.
I battenti del Roma Kolno’a Festival si apriranno il 4 novembre in Sala Deluxe con Metallic Blues di Danny Verete, che incontrerà il pubblico. Un road movie tra il grottesco e il tragico che ha come protagonisti due amici di Tel Aviv alle prese con un affare in terra tedesca. Anche il documentario fa capolino all’interno dell’iniziativa. Un genere che nella cinematografia israeliana sta godendo di maggior riscontro sia produttivo che distributivo. The Last Witness di Yael Katz Sholom rientra nella cerchia. Racconta dell’ultimo segretario personale di Hitler (ancora vivo) e di sua figlia, parlamentare socialdemocratica a Francoforte in netta contrapposizione con l’ideologia del padre. Shanghai Ghetto di Dana Jonklowicz e Amir Mann invece ci riporta negli anni Trenta, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, nel ghetto ebraico di Shangai, in Cina. Anche Or di Keren Yedaya e Atash di Tawfik Abu Wael meritano di essere menzionati, entrambi arrivano dalla vetrina festivaliera d’oltralpe.
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