Procedere, con passione, è il concetto alla base di “Tutti i rumori del mare”, primo lungometraggio di Federico Brugia. Un viaggio non di speranza ma di prigionia, raccontato attraverso canoni stilistici non convenzionali – gli unici, forse, in grado di definire un simile percorso.
Una storia non semplice, quella scritta e diretta dal milanese Brugia, volta a definire ulteriormente i canoni di un cinema d'autore italiano, che sempre di più va a perdersi nella necessità di incassare (c'è la crisi, la scusa è questa). Un passato ed un presente da regista pubblicitario e di video-clip dovrà andare in direzione opposta rispetto a quella in cui la sua professione l'ha portato nella sua vita. Giungere dalla narrazione per sineddoche alla narrazione per ellissi, una fatica non da poco per il marito di Malika Ayane (che nel film farà un cameo assieme a Rocco Siffredi ed a Mimmo Craig).
Un individuo senza nome, i cui pensieri sono sottolineati dalla sua voce fuori campo, si occupa di trasportare schiave sessuali dall'Ungheria. Un viaggio di troppo e viene a conoscenza di Nora, diversa dalla merce solita. All'ordine di abbandonarla ed ucciderla, il nostro protagonista non reagirà come sempre – anche lui schiavo del suo passato e dei suoi attuali datori di lavoro – ma compierà scelte diverse volte a ridefinirlo come uomo.
Il protagonista, un eccellente Sebastiano Filocamo, è la rappresentazione del Nulla, un entità astratta ma temuta da tutti, un non-uomo orwelliano incapace di trarre gioia dal procedere, più simile ad un giocattolo a molla. Un personaggio specchio dei gesti inutili che ogni persona, nella propria esistenza, si trova costretta a fare. Impossibile non provare empatia con un così potente stereotipo.
A questo si unisce lo stile scelto per rappresentare la storia. Il film esiste in primis per definire l'archetipo del nulla: i lenti movimenti di macchina, una fotografia non eccessiva, la ripetitività dei gesti, tutto è finalizzato a questo scopo. Poi decide di evolverlo nell'azione.
Questo perché tutta l'arte tende a rappresentare il momento storico in cui viene prodotta; questo è il momento in cui tutta l'umanità si trova al bordo di un baratro. Il Nulla piazzato immobile di fronte a tutti noi, nient'altro presente nel nostro campo visivo se non una tenue speranza di cambiamento, la fiducia nelle scelte effettuate ora, quelle scelte che condizioneranno se non noi, i nostri figli.
Questo lungometraggio descrive il presente, aprendo la porta ad un futuro di speranza, di reazione e non solo di attesa imbelle. E ancora una volta, quale demiurgo della volontà di scegliere, una donna, l'attrice ungherese Orsi Toth che impersona Nora. Una schiava carica di vita di fianco ad un uomo libero svuotato di ogni scopo il cui ovvio travaso di energie lascia intendere una speranza per il futuro.
Così come la produzione di simili film lascia a noi, il pubblico, la speranza di un cambiamento nei gesti e nei gusti di un mondo sul baratro del Nulla.
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