Cinema

Un Ragionevole Dubbio.

Un Ragionevole Dubbio.

Mitch Brockden (Dominic Cooper) è un giovane e affermato assistente procuratore. E’ appena diventato padre e, di ritorno da una serata con gli amici, sta guidando verso casa quando investe incidentalmente un pedone. Preoccupato per le ripercussioni che la cosa potrebbe avere sul suo futuro, chiama l’ambulanza da un telefono pubblico e abbandona il cadavere ai margini della strada. Il giorno successivo Mitch apprende dalla stampa che un uomo di nome Clinton Davis (Samuel L. Jackson) è stato arrestato per l'omicidio di Cecil Akerman, il passante che Mitch ha investito. Mitch conosce la verità su questa morte ma non si sente di rivelarla per le implicazioni legali che ne nascerebbero. Pressato dai sensi di colpa, ottiene che gli venga assegnato il caso e, con l’aiuto di una fonte inaspettata, Davis viene assolto. Ma con questa sentenza Mitch mette in pericolo la sua vita e quella della sua famiglia…

Quella di usare un alter ego inesistente è una scappatoia spesso usata da registi o produttori che vogliono dissociarsi dai propri film per varie ragioni: uno dei nomi fittizi più famosi e “prolifici” in tal senso è stato Alan Smithee, usato anche da David Lynch - per un rimontaggio non autorizzato e non gradito del suo Dune – e da Don Siegel fra i molti altri. Non è quindi difficile intuire, dopo aver visto Un Ragionevole Dubbio, il motivo per cui il regista Peter Howitt (Sliding Doors; Johnny English) abbia deciso di usare questa “tattica” e di farsi accreditare alla regia del film con lo pseudonimo di Peter P. Croudins.


Se sulla carta il progetto pareva presentare spunti e situazioni estremamente stimolanti (l’ impunibilità – più o meno condita da crisi di coscienza – di determinate classi sociali di fronte alla responsabilità di un delitto casuale e senza testimoni, la possibilità di far valere il proprio status di persona socialmente privilegiata così da poter scaricare sui meno tutelati le proprie colpe), il risultato ha invece finito per essere ben al di sotto delle premesse. Benchè nel soggetto, infatti, sembrava potessero riecheggiare  l’ incipit e alcuni temi de Il Falò Delle Vanità di Brian De Palma, l’ effettivo svolgimento finisce per impantanarsi a tal punto in situazioni risolte in modo troppo sbrigativo e con poco senso sia dell’ azione che della suspence che, alla fin fine, quasi si rimpiange la poco riuscita riduzione cinematografica del romanzo di Tom Wolfe. Tra le tante situazioni/clichè del film, perde così efficacia - concludendosi in pochi minuti e con coinvolgimento emotivo pari a zero - il processo a Clinton Davis, dove l’avvocato, in crisi di coscienza, “rema contro” la propria linea d’accusa in modo da “imboccare” la difesa d’ ufficio in modo da far scagionare l’imputato. Ma non è un caso isolato: sono di una prevedibilità disarmante i vari pedinamenti da parte del protagonista e del di lui fratellastro (uno dei molti personaggi sfruttati superficialmente e senza convinzione) con relative trappole e presunti colpi di scena che tali finiscono per non essere. Non salva il film dal mezzo disastro nemmeno la presenza scarsamente inquietante di Samuel Jackson, ormai secondo solo a De Niro in quanto ad apparizioni diciamo “poco giustificate” ed al limite della marchetta.

In definitiva, con un polso deciso alla regia ed uno script meno approssimativo, la pellicola avrebbe potuto avere più di uno sbocco di genere - dal legal thriller all’ action puro – ma il risultato evidenzia chiaramente la volontà di tenere il piede in svariate scarpe, finendo così per affondare una sceneggiatura già sbilanciata e mediocre di suo. Di questi tempi, con serie tv che surclassano con inventiva ed intelligenza i ritmi, le convenzioni e anche le censure del cinema, film come Un Ragionevole Dubbio nascono già vecchi, inutili e dimenticabili.