Prima di dedicarsi alla carriera di scrittore a tempo pieno, Jon Krakauer era un alpinista. Un buon alpinista e un ottimo conoscitore della montagna, tanto dei suoi meravigliosi paesaggi quanto delle loro insidie.
Nel 1992 rimase fortemente impressionato quando sui giornali lesse della tragica vicenda di un giovane ventenne, figlio di una ricca famiglia americana, brillante negli studi e avviato ad un futuro professionale ricco di soddisfazioni che, terminato il college, decise di girare con mezzi di fortuna le strade della West Coast per poi dirigersi verso i monti dell’Alaska dove il suo corpo venne ritrovato esanime da due cacciatori.
Krakauer nutrì fin da subito una forte empatia nei confronti dello sfortunato ragazzo e decise di ricostruire gli ultimi due anni della storia di Cris McCandless. Rintracciò quanti lo incontrarono raccogliendone le testimonianze desideroso di carpire attraverso le loro parole i pensieri del giovane. Aiutato dai diari che Cris scrisse prima e durante la sua permanenza in Alaska, Krakauer mise insieme i pezzi raccolti tirandone fuori un formidabile romanzo-saggio, dove forte è l’empatia provata verso il protagonista delle vicende ma lo è altrettanto la voglia di raccontare una storia vera, di mantenersi fedele ai fatti. Le sue indagini sono raccolte in un libro, Nelle terre estreme , dalla scrittura a tratti fredda e giornalistica, minuziosa nei dettagli sfiorando l’eccesso, ma che convince e trasporta il lettore in un’esperienza che non può non risultare avvincente.
Anche il regista Sean Penn è rimasto folgorato dalla storia di Cris McCandless. Anni dopo la pubblicazione del libro decide di mettere su pellicola il testo di Krakauer, rispettandone in linea di massima il contenuto ma organizzando il film per capitoli e lunghi flash-back che nel libro sono pressoché assenti. Per sua stessa ammissione sente, proprio come lo scrittore, una forte affinità emotiva alle vicende del giovane, e questo si sente in maniera molto più intensa che nel libro. Le finalità degli autori sono però diverse: lo stile giornalistico di Krakauer diventa poesia e ribellione in Penn, ed è probabilmente questo che lega profondamente romanzo e film, integrandoli esemplarmente l’uno con l’altro.
L’immagine filmica supera gli eccessi di descrittività del romanzo, e all’attenzione verso i luoghi e i paesaggi si sostituisce quella per la caratterizzazione psicologica del protagonista: le sue letture, i suoi pensieri trascritti sul diario, le sue inquietudini e infine la volontà disperata di tornare indietro.
Il film di Penn ha il grande merito di integrare il testo con un commovente e convincente profilo emotivo e intellettuale di Cris (Emile Hirsch), e contribuendo a farne una nuova icona di una vita vissuta on the road. Ricostruisce con gli artifizi del linguaggio cinematografico la volontà di evasione e di ritorno ad un’umanità roussovianamente «libera da catene», pura, libera e selvaggia portando questi sentimenti fino all’estremo opposto quando Cris, stremato dalla fatica, arriva a ribellarsi ad una natura divenuta ostile.
Penn alla fine del film inserisce tra i fotogrammi una foto che Cris si è scattato durante gli ultimi giorni di vita. Si ritrae sorridente, sul dorso del furgone che gli ha fatto da riparo in quei mesi. Il regista così riporta la narrazione filmica sul piano della verità storica. È come se qui il film rendesse nuovamente la parola al romanzo dopo esserne stato una riuscitissima parentesi.