Danza

Addio a Judith Jamison, celebre ballerina e direttrice artistica dell’Alvin Ailey

Judith Jamison
Judith Jamison

L'acclamata ballerina e coreografa, direttrice artistica dell'Alvin Ailey American Dance Theater, è morta lo scorso 9 novembre a New York

Si è spenta a New York lo scorso 9 novembre, dopo una breve malattia, la celebre ballerina e coreografa Judith Jamison, per vent’anni direttrice artistica dell'Alvin Ailey American Dance Theatre: aveva 81 anni.

Icona e leggenda della danza, era una vera visionaria che con la sua abilità artistica, l'umanità, la grazia e l'intelligenza ha superato le barriere di razza e genere e ha commosso il pubblico di tutto il mondo. Judith Jamison ha avuto un forte impatto sulla scena della danza contemporanea, cambiandola profondamente.

Judith Jamison: simbolo della femminilità nera

Judith Jamison in "Cry" coreografia Alvin Ailey (1971)


Ci sono poche immagini nella storia della danza americana indelebili ed eterne come Judith Jamison, regale e passionale in body bianco e gonna lunga arricciata, che colpisce l'aria in Cry, il celebre e penetrante assolo di Alvin Ailey sulla femminilità nera.
La Jamison evocò una serie di ruoli femminili, dalla madre alla serva alla regina, e danzò attraverso il dolore verso una libertà estatica.

Judith Jamison in "Cry" coreografia Alvin Ailey (1971)


Ailey scelse appositamente Jamison per questa sua opera iconica e dal forte valore simbolico che dedicò “a tutte le donne nere ovunque, in particolare alle nostre madri", e che è diventato un segno distintivo della compagnia. 
La sera della prima, ha detto Jamison, non sapeva se sarebbe riuscita ad affrontare l'impegnativo assolo di 17 minuti – una vera sfida fisica. Ailey dichiarò che la Jamison "con 'Cry' è diventata sé stessa".

Quel pezzo bruciante del 1971 la rese una star internazionale: fu solo l'inizio della carriera della Musa del celebre coreografo afroamericano. 
Nel 1989, dopo la morte di Alvin Ailey e per volere dello stesso, la Jamison assunse la guida della compagnia del suo mentore per oltre 20 anni, aiutandola a diventare la compagnia di danza moderna di maggior successo della nazione.

Alvin Ailey e Judith Jamison (1969)


In un’intervista con The Associated Press nel 2018, in occasione del 60° anniversario della compagnia, la Jamiso dichiarò: "È incredibile: trovo straordinario che esistiamo ancora oggi e penso che il signor Ailey sarebbe assolutamente fuori di sé, felice, che qualcosa che ha iniziato 60 anni fa poteva sbocciare in tutto ciò che aveva immaginato".

Una vita a passo di danza

Nata a Philadelphia il 10 maggio 1943, Judith Ann Jamison iniziò a studiare danza classica a 6 anni presso la Judimar School of Dance, una delle rare scuole in cui i bambini neri potevano ricevere una formazione classica.

Judith Jamison


Frequentò la Fisk University, un'istituzione storicamente nera a Nashville, ma dopo tre semestri decise che voleva diventare una ballerina professionista e si trasferì alla Philadelphia Dance Academy. Nel 1965 si unì alla compagnia di danza moderna di Alvin Ailey, quando poche donne nere emergevano nella danza americana, e il grande coreografo afroamericano la consacrò come sua Musa: è stata una delle sue soliste più importanti per 15 anni, prima di andarsene per esibirsi come artista ospite in altre compagnie di danza e a Broadway.

Judith Jamison (1965)


In seguito la Jamison tornò e ricoprì il ruolo di direttrice artistica della compagnia per 21 anni, dal 1989 al 2011, durante cui coreografò una serie di opere di repertorio, lavorò instancabilmente per consolidare l'eredità del suo mentore aprendosi all’innovazione, a nuove sfide artistiche e dando spazio a giovani talenti, ma assicurandosi anche di mantenere in primo piano il capolavoro indiscusso del suo predecessore: Revelations, un classico del 1960 che ha definito la compagnia e ne ha contribuito al successo come pochi altri nella storia della danza.

Judith Jamison in "Revelations" di Alvin Ailey


Fino ad oggi, Revelations appare nella maggior parte dei programmi della compagnia, a New York e in tournée, ed è considerata l'opera di danza moderna più vista. Nel 2004, Jamison si assicurò la sede permanente del teatro nella zona ovest di Manhattan e nel 2011 passò al suo attuale ruolo di direttrice artistica emerita.

La Jamison afferma: "A tutti piace sedersi in 'Questa è una compagnia nera', ma la gente non sa che l'Ailey era una compagnia di danza moderna di repertorio e che tutti questi coreografi erano stati invitati. La nostra protesta era esattamente ciò che stavamo facendo sul palco. I nostri corpi dicevano la verità su cosa significa essere un artista".

Judith Jamison,con i danzatori Linda-Denise Fisher-Harrell e Matthew Rushing durante le prove “Here...Now” (New York, 2001)


Judith Jamison è stata anche una coreografa affermata, tra le sue creazioni più significative Divining (1999), A Case of You (2002) e Love Stories (2004), che mostrano la sua abilità nell’intrecciare narrazione e movimento, spiritualità ed emozioni. La Jamison ha sempre utilizzato la danza come strumento per raccontare storie di resistenza, speranza e identità, legate in particolar modo alla cultura afroamericana. La sua carriera artistica è stata caratterizzata da un forte impegno sociale, di diffusione della cultura e delle tradizioni che erano al centro della visione di Alvin Ailey. 
Sotto la sua direzione, l’Alvin Ailey American Dance Theater ha vissuto un periodo di rinnovamento e crescita straordinaria. 

"Kennedy Center Honors" (1999)


Dopo essere stata insignita del Kennedy Center Honors nel 1999, ricevette tra gli altri riconoscimenti la National Medal of Arts e l'Handel Medallion, il più alto riconoscimento culturale della città di New York.

Dancing Spirit

Nella sua autobiografia del 1993, Dancing Spirit, la Jamison dichiarò "ero l'antitesi della ballerina minuta e pudica con una forma classicamente femminile".
Ma non era solo la sua presenza fisica il tratto distintivo di questa straordinaria artista, ma la profonda intelligenza, il talento, il calore, il suo spirito elegante e maestoso.

Judith Jamison (1971)

 

Judith Jamison (2011)


Nel 1976 la critica del New York Times Deborah Jowitt scrisse: "Jamison non ti mostra i passi, li usa per mostrarti una donna che balla, questa capacità di mantenere una dimensione umana e di proiettare potenza e radiosità sovrumane è forse una delle sue abilità più impressionanti".

La Jamison pensava alla sua arte in termini spirituali. Nel 1976 dichiara al Times: "Non penso di muovermi nel modo in cui mi muovo solo perché mi sono allenata per anni, o perché ho braccia lunghe o qualcosa del genere. Credo che ci sia un dono speciale che Dio mi ha dato, e che lo sto usando".

Figura di riferimento del mondo della danza, il suo prezioso lavoro e la sua vita sarà da ispirazione per le generazioni future.