Teatro

Al Pacino Shakespeare

Al Pacino Shakespeare

Un regista da Oscar. Un kolossal di produzione italiana. E Al Pacino in uno dei personaggi più discussi della storia del teatro. Per un 'Mercante di Venezia' da antologia. Quando Michael Radford si mise in testa di adattare per lo schermo 'Il mercante di Venezia', la prima persona cui si rivolse per la parte di Shylock, l'usuraio ebreo che chiede ad Antonio una libbra della sua stessa carne in garanzia ad un prestito di tremila ducati, fu Marlon Brando. L'attore più grande degli ultimi tempi, scomparso appena poche settimane fa, fece sapere che la cosa non lo interessava, che aveva lasciato il mondo del teatro da giovane e che alla sua età non aveva alcuna intenzione di tornarci. Offrì un suggerimento, tuttavia, andando indietro con la sua memoria ai tempi de 'Il padrino' quando uno era Don Vito e l'altro Michael Corleone. "La sola persona alla quale posso pensare, e che raccomanderei sinceramente, è Al Pacino", disse. Una raccomandazione che il regista, premio Oscar per 'Il postino', ha preso al volo e che, una volta girata al diretto interessato, ha avuto in risposta un immediato ed entusiastico sì. "Ho sempre sentito che interpretare la parte di Shylock era nel mio destino", sostiene l'attore di origine italiana cresciuto nel South Bronx. Coprodotto dalla Dania Film e Immagine Cinema in associazione con l'Istituto Luce e girato tra il ponte di Rialto, il ghetto ebraico e le calli della città lagunare, con una parte in studi del Lussemburgo, 'Il mercante' è stato visto per la prima volta il 4 settembre, fuori concorso, al Festival di Venezia per poi arrivare nei cinema italiani a dicembre. Una produzione spettacolare, con un budget di 27 milioni di dollari e un look da tre volte tanto: Radford ha saputo attrarre oltre a Pacino altri attori di fama internazionale. Jeremy Irons è appunto Antonio, un commerciante che possiede una flottiglia di navi. Joseph Fiennes è Bassanio, il nobile che gli chiede il denaro che Antonio prende a sua volta in prestito da Shylock per poter impressionare la famiglia della ricca e bellissima Porzia (Lynn Collins). Per oltre trent'anni Al Pacino è stato uno dei personaggi più ammirati del rarefattissimo Olimpo hollywoodiano. Una questione di occhi, di intensità del suo sguardo, del suo perfezionismo quasi ossessivo, del tono potente e baritono della voce, di quella sua singolare capacità di fare apparire spontanei dialoghi che gli hanno richiesto mesi di memorizzazione. Pacino è una icona, uno la cui filmografia occupa un capitolo unico nella storia del cinema contemporaneo: oltre che la saga de 'Il padrino', 'Serpico', 'Un pomeriggio di un giorno da cani', 'Scarface', 'Insonnia' e, pochi mesi fa, il pluripremiato film televisivo sull'Aids e gli anni del reaganismo, 'Angels in America'. Ma mentre altri suoi celebri colleghi cresciuti come lui con il teatro hanno abbandonato il palcoscenico o ci tornano solo per vanità o per diversivo, Pacino non ha mai dimenticato le sue origini. Cresciuto nel mitico Actors' Studio, pur avendo passato più della metà dei suoi 64 anni nel cinema, è ancora come se ci fosse giunto un po' per errore. Anche se può contare su sette nominations, ha vinto un solo Oscar, per l'improbabile 'Profumo di donna', remake del film italiano in cui spiccava un indimenticabile Vittorio Gassman. Ha collezionato invece due Tony, il cosiddetto Oscar del teatro: uno nel 1969, quando uno spettacolo durato solo in cui recitava la parte di un eroinomane bastò a farlo scoprire, e un secondo nel 1977, quando era già un divo del cinema. Da Brecht (due anni fa ha portato a Chicago 'La resistibile ascesa di Arturo Ui') a Oscar Wilde (poco dopo era a Broadway con 'Salome'), da David Mamet a Eugene O'Neill, Pacino ha fatto di tutto, restando sempre ancorato al mondo del teatro. "A volte mi domando perché torno al cinema", confessa: "Dal vivo mi sento più a mio agio. È come stare sospeso su una corda per due ore e ci sono delle serate in cui caschi e ti fai male. Ma questo tipo di rischio, quando lo affronti, ti dà un qualcosa che non so come descrivere. In qualche modo è una droga". Un'assuefazione che si porta dietro anche quando fa cinema, come se Pacino stesse sempre cercando il ritmo nel dialogo, come se volesse far credere che i gesti, le espressioni del suo viso, le parole che gli escono dalla bocca fossero frutto non di una preparazione meticolosa ma della sua capacità di improvvisazione. E che è legata in particolare ai personaggi, alle relazioni, alle dinamiche universali e al di là dei tempi creati da Shakespeare. Quando è dunque arrivata la proposta di Radford, Pacino ha non solo accettato la parte di Shylock ma ha anche acconsentito a tagliare più che considerabilmente il suo compenso che ormai veleggia attorno ai 15-20 milioni di dollari a film. E non si è preoccupato per il fatto che di adattamenti cinematografici de 'Il Mercante' ce n'erano in lavorazione due, quello di Radford e un secondo, più moderno sulle onde del 'Romeo + Giulietta' di Baz Luhrmann con Leonardo DiCaprio, che verrà diretto da Patrick Stewart, il capitano Pickard di 'Star Trek'. Radford lo ha infatti rassicurato che avrebbe seguito, atto per atto, lo schema e i dialoghi del Bardo e che, come l'autore, lo avrebbe ambientato alle soglie del '600. Ha anche deciso di girare in positivo la possibile controversia che potrebbe venire generata dalla figura di Shylock, uno dei personaggi scespiriani più discussi per il suo palese antisemitismo. Un personaggio che quando domanda: "Non ha occhi un ebreo?" e "Non è scaldato e gelato dalla stessa estate e dallo stesso inverno come un cristiano?", ci ricorda l'esistenza, negli anni in cui la commedia è ambientata, dei pogrom anti-semiti, ma che dall'altra ripropone un'immagine un po' caricaturale e decisamente poco politically correct dell'usuraio ebreo. "Presenterò una storia di conflitto umano, di due gruppi di persone che non si capiscono", sostiene Radford: "E che non è poi molto diversa dal conflitto contemporaneo tra cristiani e musulmani". Negli anni del nazismo il 'Mercante' di Shakespeare venne sfruttato per perpetuare gli stereotipi più negativi sugli ebrei. Adesso, la nuova versione cinematografica ha fatto alzare le antenne di alcune organizzazioni ebraiche, che però, memori dell'involontaria pubblicità data a 'La Passione' di Mel Gibson, hanno scelto la linea della cautela. "Shylock verrà raffigurato come il perfido ebreo aguzzino o come una vittima del suo tempo, come una persona che viveva nel ghetto e che non poteva possedere terre?", si domanda Frank Dimant, vice-presidente dell'associazione ebraica americana B'nai Brith. "La sensibilità degli ebrei in questo momento è molto acuta, ci sono troppe persone che cercano nuove occasioni per odiare". Nel personaggio di Shylock Pacino metterà soprattutto l'amore, la sua personale devozione per le pagine di Shakespeare che aveva già manifestato nel 1997 con 'Looking for Richard', di cui era regista e attore. Per molti critici, più che come un atto d'amore il documentario diretto da Pacino era una prova di vanità e di gigioneria. "Guardate, c'è una stella del cinema, con tanto di cappello da baseball girato all'indietro e capelli in disordine, interessata a Shakespeare!", aveva ironizzato il 'Los Angeles Times'. "Non è commovente vederlo così coinvolto? E così creativo!". Altri hanno invece ammirato la capacità dell'attore, che ha avuto al suo fianco Vanessa Redgrave, Alec Baldwin, Winona Ryder e Kevin Spacey, nel decostruire il 'Riccardo III'. E lo avevano lodato per aver reso accessibile, intercalando con maestria scene di prove in costume con interviste a professori di Oxford e a passanti increduli a passeggio per Times Square, una delle più complesse opere shakespeariane, riuscendo a comunicarne l'essenza a un pubblico di massa. "Con Shakespeare il pubblico si perde, specie nelle sue opere storiche", spiega Pacino:"Non riesce a capire che cosa succede, perché questa persona sta facendo quella tale cosa a quell'altra. Ho pensato che se riuscivo a creare un filo conduttore, avrei potuto semplificare l'esperienza". Con 'Il mercante' l'obiettivo è lo stesso, su scala molto più ambiziosa: "Forse sarò io la ragione per cui la gente accorrerà nelle sale", aggiunge Pacino: "Ma spero che quando le lasceranno, penseranno a Shakespeare".