Teatro

Baliani porta in scena il dramma della guerra

Baliani porta in scena il dramma della guerra

Trasposizione scenica firmata Sandro Veronesi del film di Danis Tanovic «No man's land», una riflessione grottesca sui conflitti «Si prenda Samuel Beckett e lo si chiami A; si prenda Quentin Tarantino e lo si chiami B; si tenda una corda tra A e B; si prenda il punto medio della corda AB, e lo si chiami T: quello è Tanovic. Con un compasso si faccia centro in T e si disegni un cerchio avente per raggio TA (o TB, che è uguale); si riempia il cerchio con una buca nel terreno, una guerra fratricida, due fratelli-nemici, un morto che non è morto, una mina balzante sotto di lui (che se si alza esplode, e lui diventa morto per davvero, e anche gli altri), i caschi blu, gli ufficiali, le armi, gli artificieri, gli elicotteri, i giornalisti televisivi, l'opinione pubblica, le risoluzioni dell'ONU, le carriere, gli scenari internazionali e la fotografia di una donna; si infili tutto quanto dentro la buca. Bum. Quello è No Man's Land». Un dramma bellico-esistenziale, a metà tra Beckett e Tarantino: così Sandro Veronesi descrive la sceneggiatura del film di Danis Tanovic da lui rielaborata, tradotta e adattata per il teatro. Lo spettacolo, dopo una tournée che ha attraversato le principali città italiane, da Roma a Napoli, da Genova a Torino, approda a Teatridithalia, al Teatro Leonardo, dove rimarrà in scena fino al 14 marzo. L'idea di un'edizione teatrale di «No man's land» nasce in seno a un progetto triennale, realizzato dal Teatro Metastasio e dal regista Massimo Luconi, con l'obiettivo di ritagliare sulla scena un luogo di riflessione e di impegno sul tema della guerra. Il piccolo film di Tanovic, vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes 2001 per la miglior sceneggiatura e l'anno successivo dell'Oscar come miglior film straniero, ben si presta all'operazione e alla trasposizione scenica, per la sua struttura narrativa, per la sua risonanza simbolica, per la forza con cui sa elevarsi al di sopra della vicenda di un conflitto ben definito storicamente per farsi riflessione universale sull'assurdità di tutte le guerre, a partire da quella di Troia. L'esito prende forma nello spazio circoscritto di una trincea dove, nel corso della guerra serbo-bosniaca, le armi inchiodano e intrecciano i destini di tre soldati, due bosniaci - Tchiki (Marco Baliani) e Tsera (Giuseppe Battiston) - e un serbo (Andrea Collavino). Intorno a loro si agita una pletora di personaggi, emanazione della presenza internazionale o dell'informazione: un sergente francese, uno sminatore tedesco, un colonnello inglese e una giornalista televisiva americana pronta, come tutti gli altri, a celare dietro la facciata umanitaria, la volontà di manipolare la situazione ai fini dell'indice di gradimento. Dopo le riprese televisive, infatti, tutti se ne vanno abbandonando al proprio dramma Tsera, quasi kamikaze forzato, bloccato sopra una mina, che nessun artificiere dei caschi blu è riuscito a disinnescare, destinata a esplodere non appena privata del peso del suo stesso corpo. Un senso di assurdità e di grottesco pervade l'intera vicenda, manifestandosi come un riflesso dell'assurdità stessa della guerra che, con invidiabile senso dell'umorismo, mette l'uno di fronte all'altro due uomini separati dall'ideologia ma uniti, in passato, da una comune fidanzata.