"Con il cinema e la recitazione non c'entra niente". Alessio Boni, 39 anni, viene dall'accademia dove era compagno di Fabrizio Gifuni e Luigi Lo Cascio.
Un attore italiano, affascinante e di talento. Alessio Boni, bergamasco, 39 anni, gran fisico, sguardo magnetico e una preparazione solida all'accademia d'arte drammatica. Ha lavorato con Ronconi e Strehler. In tv lo abbiamo scoperto grazie a qualche fiction, fino a 'Incantesimo'. Marco Tullio Giordana lo ha voluto al fianco dei suoi ex compagni d'accademia Luigi Lo Cascio e Fabrizio Gifuni in 'La meglio gioventù'.
Adesso arriva nei cinema con due film: 'Quando sei nato non puoi più nasconderti', il nuovo di Giordana che correrà a Cannes per la palma d'oro e arriva sul grande schermo il 13 maggio. Ma prima, già da venerdì scorso, è nelle sale 'Non aver paura', un dramma familiare in cui recita al fianco di Laura Morante: una coppia in crisi si separa e ci sono gravi conseguenze per il figlio di otto anni. Due film in cui fa il padre per Alessio Boni, che non ha figli, e che ci racconta perché gli piace tanto recitare con i bambini.
"Recitare è, a mio avviso, ritrovare nell'uomo quelle capacità e quegli istinti che hanno i bambini nei primi anni di vita. I bambini non creano maschere, sono se stessi, come un cavallo che fa il cavallo. Un cane fa il cane, non è che dice 'faccio il gallo'. Ma questo fino a una certa età, perché poi comincia la coscienza, da tredici, quattrordici anni sono già in quella zona d'ombra. I bimbi di sette, otto, nove, dieci anni hanno una naturalezza, una spontaneità, recitano con un sentire vero che ti spiazza. E tu lo segui".
Cosa provano gli attori come lei che hanno alle spalle quindici anni di gavetta e di studi di fronte al successo effimero di un Costantino che arriva al cinema perché dice 'io sono me stesso', 'sono spontaneo'?
"Io non credo che se tu devi farti controllare la vista vai da un idraulico. Ci sono questi fenomeni, ci mancherebbe, c'è posto per tutti. Non li invidio. La gente può essere quello che vuole. Ma la spontaneità di essere se stessi può essere funzionale nel momento in cui un De sica, un Pasolini avevano in mente un concerto, una musicalità. E sceglievano il pensionato per fare Umberto D, o sceglievano quel personaggio per fare 'Ladri di biciclette'. O sceglievano quell'altro per fare 'Accattone'. Che era se stesso e serviva ai maestri per funzionare, per fare un'opera enorme. Qui credo che non ci sia dietro questa cosa: e quindi non stiamo parlando la stessa lingua. Non sto parlando di recitazione, non sto parlando di cinema, non sto parlando di elargire completa nudità di sentimenti umani che è l'arte del recitare. E' come se tu mi parlassi di un velista".
Lei ha un carattere piuttosto schivo. Non le piace apparire sui giornali o in televisione?
"Sono riservato. Non riesco a mettere in piazza tutto me stesso così facilmente, non ce la faccio. E' come un cristallo così prezioso che va tutelato".
Da 'la meglio gioventù' a Heathcliff di 'Cime tempestose', la contraddistinguono ruoli da rabbioso. Lei ha davvero un caratteraccio?
"No, non sono così rabbioso, non sono così collerico. E' una cosa, forse, dovuta al mio passato da piastrellista, da proletario. Sgomitare e venire fuori graffiando, questa cosa nel mio carattere c'è, ma la utilizzo soltanto in certi casi. Anche se mi viene bene subito: ce ne siamo resi conto in accademia. C'è una cosa divertente che racconta sempre Luigi Lo Cascio: un nostro maestro ci faceva fare il coro dell'Amleto, essere o non essere. Lo Cascio dirigeva e una ventina di persone recitava insieme, come fosse un coro. C'era una poesia di Giovanni Pascoli che diceva "Il mare, al buio, fu cattivo. Urlava sotto gli schiocchi della folgore!" E questo 'urlava' era accompagnato da urli lancinanti del nostro maestro. Eravamo diciotto in classe. Alla fine si sentiva solo la mia voce. E il maestro lo faceva dire solo a me. E' una cosa che o uno ha o uno non ha. E' una dote".
Con Fabrizio Gifuni e Luigi Lo Cascio c'è il piccolo miracolo di un'amicizia che continua...
"Tuttora. Loro sono dei fratelli. E' una bella cosa. Facendo l'attore ti fai tantissimi amici, registi, attori, ma nessuno è come Fabrizio e Gigi. Perché io Fabrizio e Gigi, all'età di vent'anni, chi veniva da Bergamo, chi da Palermo, abbiamo forgiato il tutto: conosciamo i nostri lato deboli. Ci si telefona, dopo un lavoro, e ci si dice tutto con estrema sincerità. Cresciuti insieme, abbiamo fatto l'Amleto insieme, il loro giudizio è quello che attendo di più".
Teatro