Teatro

Intervista esclusiva a Michel Altieri

Intervista esclusiva a Michel Altieri

Intervista Esclusiva di John More all’attore e cantante italo-francese Michel Altieri. Lui interpreta il ruolo principale del musical kolossal “Il ritratto di Dorian Gray” tratto dal romanzo scritto da Oscar Wilde (1856 – 1900). “ESPERIENZE PROFESSIONALI” John More: Dopo il tuo personale trionfo nella prosa col Cyrano de Bergerac, è la volta del terzo anno di repliche SOLD OUT per il Musical kolossal “Il ritratto di Dorian Gray”, ora a Milano e Roma... Michel Altieri: Siamo tutti molto lieti che questo spettacolo riempia i teatri con la sola, assoluta forza di un linguaggio teatrale sacrosanto, proprio in un momento in cui l'Italia è assuefatta da una sconcertante pochezza televisiva. J.M.: La critica ti ha paragonato al divo della prosa inglese Toby Stephens, bellissimo e bravissimo, pensi che Dorian Gray sia stato il ruolo della tua consacrazione? M.A.: Assolutamente, ma credo di essere giunto a plasmare l'identità del personaggio di Dorian attraverso tutte le psicologie degli altri ruoli cui ho dato vita. Un attore deve amare i propri personaggi e portare con sè qualcosa di loro che userà. Se non altro per puntare a capire il senso della propria esistenza. J.M.: Come sei entrato nei panni di Dorian? M.A.: Ho attinto dalla mia vita, dalla vita di altri. Dai libri che leggo, dalla pittura, e dall'arte in generale che studio. Ho scavato nel tormento dell'apparenza contemporanea. Dorian è tutto, non una sola entità. Mille. E' l'angelo caduto e il demone. E' la repressione e l'aggressione. J.M.: Per l’interpretazione di Dorian Gray sei stato riconosciuto quale migliore attore con il premio “Rome Europe Award 2004” e allo stesso tempo una folla di ragazze scatenate ha messo quasi in difficoltà l’organizzazione. Cosa c’è secondo te in quella tua interpretazione che, con la complicità del suggestivo allestimento e della bravura degli altri interpreti, è riuscita nell’arduo compito di mettere d’accordo critica e pubblico? M.A.: Il tema vince poiché attuale: l’apparenza a danno dell’essere. Dorian non è un personaggio, ma mille. Il pubblico, anche giovanissimo, segue con coinvolgimento la sua trasformazione da angelo a demonio nelle tre ore di show, per merito della scenografia faraonica, della regia cinematografica, dei 50 attori, 300 costumi e pare anche per via del sottoscritto, che dà l’anima senza risparmio… ed è sempre sul palco senza dover essere mai lo stesso. J.M.: Vivere con il proprio talento, dividersi tra diversi ruoli e numerosi impegni, per di più alla tua età, non fa pensare solo allo scrosciare degli applausi. Quanto è importante e che ruolo gioca il sacrificio nella tua carriera? M.A.: Il sacrificio è prestabilito. Quando si è protagonisti di un grande musical, la responsabilità è tanta, pure prescindendo dall’impegno dovuto in scena. Bisogna prestare una cura maniacale per preservare la voce, mai una nottata in bianco, assoluto riposo, ore e ore in silenzio durante il giorno, per non parlare dell’allenamento fisico… Poi ci sono gli altri sacrifici, quelli di resistenza ai compromessi. Dare la priorità alla qualità per esempio implica un coraggio sconsiderato, oggi più che mai vista la assuefazione delle masse alla “pochezza televisiva”. Ho detto tanti no, e non intendo uniformarmi né ai “divetti belli” e “leggeri” né tanto meno a quelli alternativi che misurano il talento in trasandatezza. Dov’è scritto che per essere credibili si debba essere tristi, sciatti e tormentati? Posso esserlo per copione; nella vita amo il buon gusto, lo studio del bello che parte dal pensiero. Sono affine a Brecht quanto ai Massive Attack. Intendo vivere il mio tempo senza discriminare i... moderni costumi. J.M.: Quali sono i tuoi modelli d'ispirazione? M.A.: La figura glaciale e spietata del David Bowie dei tardi '70, la pittura rinascimentale elegante e inquietante di Albrecht Durer, le immagini noir di George Harrells. Nel cinema muto inizio ‘900 di Dreyer ho trovato materiale per delineare intensità espressiva e postura scoprendo la stessa "illuminazione a pioggia" che ho in scena. Infine il Dorian contemporaneo dello scrittore inglese Will Self in cui si delineano i dettagli malsani che Wilde invece lasciava solo intuire. J.M.: Anna Strasberg ti ha definito "attore geniale, fuori dal comune". Esiste una differenza sostanziale tra un attore cinematografico ed uno teatrale? M.A.: Esistono due sole categorie di attori: quelli bravi e quelli incapaci. Un attore intelligente si rapporta al terminale cui intende comunicare e si dosa a seconda che sia dinanzi ad una macchina da presa, o ad una platea di duemila persone. Tutto qui. Un attore non recita mai per se stesso. Quelli particolarmente critici o sopra le righe sono troppo concentrati a risultare “interessanti” anziché “interessati al pubblico”. J.M.: Eppure ultimamente si è creata una divisione delle categorie… M.A.: In Italia oggi echeggia un pregiudizio assurdo per chi si fa le ossa in teatro. Scusa, ma Al Pacino?! Colpa di registi presuntuosi e ignoranti, e di certi attori affettati che si giustificano dicendo di "venire dal teatro". Fatto stà che si fa prima a vincere un reality, e a recitare con la voce perennemente "soffiata", mangiandosi pure le parole, per essere scritturati in una signora fiction nostrana. Imbarazzante. J.M.: In che cosa consiste il lavoro dell’attore? M.A.: Portare per mano il pubblico nella dimensione delle emozioni. La realtà, che intendo come antitesi dell’universo fisico. J.M.: Tu hai interpretato il ruolo di Cristiano nello spettacolo teatrale il “Cirano di Bergerac” diretto da Corrado D’Elia. Cosa hai provato interiormente interpretando questo personaggio? M.A.: L’innamorato a teatro. Quanti ne fuggono. Eppure non vi è dramma se orfani del consueto, baldanzoso e vulnerabile belloccio cui sottrarre o complicare la relazione amorosa. Un classico. Coi fiocchi per giunta. Ho rifiutato fin dal principio l’idea di restituire l’ovvietà di un Cristiano risolto come antitesi del Cirano-eroe, proprio per non muovermi nella prevedibilità, per non cadere nel rituale della malsana noia romantica di chi non ha saputo – potuto - cogliere in passato la vera tragedia del personaggio di Rostand. A maggior ragione nella versione tradotta in prosa da Franco Cuomo che, pur rispettando il motore originale dell’autore, coadiuvata dalla regia di D’Elìa, qui si riveste di una vibrante e attraente contemporaneità. Cristiano è l’uomo incompiuto. L’uomo accorato nei riguardi dell’ente femminile cui però manca la consapevolezza di cosa questo significhi fino in fondo. E’ l’uomo che non sa o ha cancellato dalla traccia del suo tempo il lato femmineo di sé, limitandosi a contemplare la corporeità e la sensualità delle fogge, per poi coglierne pure l’anima, e amarla. Senza parole. Rossana lo ammalia, forse gli ricorda quanto non si possa fingere di appartenere all’universo fisico, forse lo invita a sognare una scena ideale, a desiderare, sì, di essere migliore; ma il patto “Faustiano” con Cirano in qualche modo è un’ammissione del proprio fallimento come uomo. Come essere. Ho riflettuto a lungo su come tratteggiare il mio Cristiano, ed infine ho preferito risparmiare al pubblico la figura vittima del languido giovinetto in preda alle lagne, per muovermi nell’irresistibile contraddizione del tragicomico. Regalare una risata per ottenere l’abbraccio della platea come del destino stesso e riscattare infine la mia morte, quasi fosse non più vana. Accecare con la gioia gli spettatori dinanzi al mio dramma per poi mostrarglielo, in toto, nel sommo risalto del finale. Cristiano muore solo, nella sua disperazione, ma è sublimato da chi ha riso ed ora confessa lacrime… per lui. J.M.: Che cos’è che ti piace del regista Corrado D’Elia? M.A.: La modernità. Il fatto che riempia i teatri di giovani e che sia un grande manager di se stesso. In questo siamo particolarmente simili. Un’ opera d’arte potrebbe anche essere sublime ma senza l’adeguata propaganda, nessuno se ne accorgerebbe. J.M.: Qual è la cosa che ti ha di più colpito lavorando per la sit-com “Camera Cafè” su Italia 1? M.A.: Che il cast sia formato da soli attori di teatro. Una gran bella rivincita! E poi la difficoltà delle battute serrate, dell’occhio sulla “macchinetta”. Jessica Polsky poi… quella sì, mi ha in special modo… colpito! J.M.: Cosa puoi dirmi delle tue esperienze in Olanda? M.A.: Indimenticabili… sono diventato un personaggio pubblico grazie ad uno spot in cui sono l’attore protagonista. Una specie di culto! Giravo con le guardie del corpo! Davvero un’esperienza divertente, ma non so quanto avrei retto se mi fosse successa in Italia! J.M.: A che cosa stai lavorando in questo momento e quali sono i tuoi progetti futuri? M.A.: Top secret! Tanto non vi libererete di me… almeno per i prossimi 60 anni. “FORMAZIONE PROFESSIONALE” John More: Tu hai studiato recitazione con Anna Strasberg, Dennis Hopper, Narcisa Bonati, Michael Greif, canto con Emiliana Perina, Luca Jurman, Luciano Pavarotti ed altri ancora, cosa puoi dirmi dei tuoi maestri che ti hanno formato... Michel Altieri: Emiliana Perina è stata la prima in assoluto a plasmarmi come artista. Tanta fatica. Ore e ore davanti al pianoforte accarezzato dalla sua guida gentile e risoluta. Le devo tutto, o quasi. Jurman mi ha indicato il velluto della mia voce. Essere poi scelti da Luciano Pavarotti su mille provinanti è un qualcosa difficile da dimenticare. Mi ritrovai a cantare insieme a lui nelle prove di Rent, e capii che stava trasmettendomi tecnica e cuore in un equilibrio prodigioso. Lui e Nicoletta Mantovani mi portarono a New York, incontrai Greif, il regista che mi avrebbe insegnato a piangere e ridere in scena nel dramma dell’AIDS attingendo alla memoria sensoriale, un presagio di ciò che più tardi avrei imparato da Anna Strasberg e Dennis Hopper. Tato Russo invece mi ha svelato la credibilità del “distacco”, del convincere il pubblico facendo finta di piangere. La cosiddetta “Scuola Italiana”. Tato è il mio padre artistico. Un rapporto segnato da stima infinita ma anche da tante lotte. Inevitabili quando due artisti cocciuti si incontrano. Tato è l’attore, il regista, il genio. E’ la vibrazione teatrale personificata. Mi ha mostrato un mestiere, l’altra “dimensione”. Nei “Promessi Sposi” abbiamo delineato un Renzo, baldanzoso e romantico, una specie di Romeo. Per Dorian invece più complicazioni: ne ha una visione più classica mentre io insisto per i riferimenti attuali. Viviamo nel tempo presente, per carità. Ho stravolto il mio aspetto rifacendomi al dandismo di David Bowie, al Lestat di “Intervista col Vampiro”, ma anche all’intensità espressiva del cinema muto di Dreyer. La voce spinta ma moderna, nera, mai lirica! E’ un Musical non un’Operetta. J.M.: Con quale criterio hai scelto i tuoi maestri per il tuo percorso formativo? M.A.: Ho sempre cercato qualcuno che potesse darmi luce nell’ombra. J.M.: Il tuo amore per la scena è cresciuto in te sin da bambino e nel 1997 affrontavi la prima “tournèe” in giro per l’Europa con la compagnia di Tableaux Vivants, Trendiest Attitude… Come ti sei avvicinato al teatro? E cosa ti piace? Precisamente quali sono gli aspetti del teatro che ti hanno spinto sin da bambino e ancora oggi a recitare e calcare la scena? M.A.: L’idea che l’uomo sia vivo nella misura in cui comunica. E poi credo fermamente nelle vite passate. Da bambino avevo già delle spiccate e inspiegabili attitudini da mattatore… Ho cominciato a dieci anni. Seguivo il mio istinto. Scrivevo copioni, partecipando a concorsi, poi a 18 anni sono approdato a Milano, da solo, con pochi quattrini e un indomito entusiasmo per inoltrarmi in una sacrosanta gavetta: cantavo nei clubs di tendenza, inventavo performances avantgarde e il costumista della Scala, Piero Ripa, realizzava persino i costumi del mio gruppo. Un trionfo. Diventai un bambino prodigio del Clubbing, mentre di giorno studiavo recitazione con l’indimenticata Narcisa Bonati del “Piccolo Teatro” e canto con l’indimenticabile veterana del musical, Emiliana Perina. A Luca Jurman devo invece l’accostamento alle dinamiche soul della mia voce, che poi ho affinato “by night”. Nella Milano notturna della seconda metà degli anni ’90 si respirava del resto un’atmosfera newyorkese in cui, artisti, pittori, fotografi, s’incontravano, filosofeggiavano, creavano. Penso a Dolce & Gabbana, a Daniele Cipriani, D-Squared, Antonio Syxty, al Principe Maurice, Danilo Visconti e alla Contessa Pinina Garavaglia… colta, vitale e sincera nelle sue fogge fiabesche. J.M.: Ci sono delle tecniche particolari di recitazione che tu hai studiato e che ti hanno aiutato ad avere una migliore interpretazione del personaggio? M.A.: Ne ho studiate tante ma credo nella fusione di tutto ciò che possa semplicemente funzionare… allo scopo: l’incanto del pubblico. Mi sono trovato in scena sia “vivendo” che “fingendo” ed ho ottenuto in entrambi i casi grandi soddisfazioni! Per i personaggi bisogna documentarsi, certo, e attingere, scavare nella fantasia o nelle vite passate perché no? In teoria se è vero che l’essere spirituale è in ballo da qualche trilione di anni, ne dovrebbe aver viste di tutti i colori… J.M.: Potresti fare alcuni tipi di esempi pratici per poter migliorare la propria voce? M.A.: L’esempio pratico è la pratica. Buttarsi nel fuoco, allenarsi il più possibile. Giocare. E’ assurdo ma ci sono delle circostanze in cui si ha paura di certe note esattamente come dinanzi ad un burrone. Ci vuole coraggio, ovvio, ma ne vale la pena. J.M.: Che cosa vuol dire studiare “teatrodanza”? M.A.: Imparare a gestire il corpo e a metterlo a disposizione della scena. Non si può ignorare che un attore necessiti di qualsiasi arricchimento giovevole al proprio mestiere. J.M.: Come dovrebbe essere scritto un “Curriculum Vitae” per un’attore? M.A.: Con assoluto ordine e, se si è agli inizi, con strategica enfasi! Bisogna colpire chi legge, poche storie… e se non sei ancora un nome devi giocarti tutte le carte! “PRIVATAMENTE” John More: Chi era il tuo eroe preferito da piccolo? Michel Altieri: I cattivi in genere. Uno su tutti: Skeletor il perfido guerriero con la faccia da teschio della serie “Masters of The Universe”! O Dio, a pensarci bene, un eroe romantico dei cartoons giapponesi, Andrè, l’innamorato segreto di Lady Oscar! Ad ogni modo a 10 anni vidi il film de “Il ritratto di Dorian Gray” di Albert Lewin e mi identificai in Dorian con grande suggestione. Un presagio. J.M.: Quanto è importante sognare? M.A.: Più di vivere. La vita è conseguenza del sogno. La vita è una specie di postulato. L’essere non è materia. L’essere possiede materia e la sogna prima ancora di ottenerla. J.M.: Che cosa ci insegna il teatro e il cinema? M.A.: Offre un modo per scoprire il senso della tua esistenza. J.M.: Secondo te, al giorno d’oggi l’attore con chi si identifica? M.A.: Il bravo attore secondo me, si identifica con se stesso, col mondo che conosce e che non conosce, col personaggio, col presente e col passato. L’attore deve vivere nell’altra dimensione e creare, ispirato dalla totalità delle sue percezioni. J.M.: Come si combatte l’insicurezza in se stessi? M.A.: Con la pratica. Con le vittorie, i riconoscimenti. Quelli sì, sono i dati stabili che saldano la tua sicurezza! J.M.: E la paura da palcoscenico? M.A.: Prima di andare in scena faccio in modo di restare di buon umore. Se si è su di tono si può entrare in azione ed essere causa. La paura no, per carità, crea solo guai. Meglio farsi due risate con la compagnia o con la sarta che ti veste, che fare il muso con la scusa della concentrazione. E’ deleterio. J.M.: Il Papa Giovanni Paolo II è un sostenitore del suono tridimensionale, la tecnica ad alta risoluzione… Cosa ne pensi dell’olofonia? M.A.: Un sistema di ascolto completo e nitido. Interessante ma non ne so molto. J.M.: Che importanza ha la famiglia per te? M.A.: E’ il punto di partenza. E’ amore allo stato puro. In questo la mia parte italiana prende il sopravvento su quella francese! Vorrei avere molto più tempo da riservare a chi amo. Sono circondato da persone di ogni tipo, ma in definitiva resta al mio fianco sempre e soltanto chi è consapevole della propria natura spirituale. Questo è il mio clan. E si vive in sintonia. Un mese prima di incontrare la mia ragazza, lo sentivo nell’aria. Lo avevo pure confessato ad un amico. Sapevo che stava arrivando la perfezione della mia esistenza. E nella vita, la filosofia di Scientology mi dà una grande mano su come riconoscere chi merita fiducia, oltre che mostrarmi un cammino spirituale, di cui tutti parlano, che sta migliorando il mondo dell’Arte, dunque… il mondo. J.M.: Che cosa possiamo augurarci per quest’anno? M.A.: Pace e arte infinita. L’artista è più influente nelle masse più di chiunque altro. J.M.: Qual è il traguardo che desidereresti di più nella tua vita? M.A.: Oltre a creare una famiglia realmente felice, di certo lasciare un segno indimenticabile (fammi sognare…!) come artista. J.M.: Accanto alla passione per il teatro e il canto, non rinunci a dedicarti all’arte firmando una tua rubrica sul mensile “Trend”. Qual è l’ambito che ti appassiona più seguire e quali sono i tuoi artisti preferiti nella pittura e nella scultura? M.A.: Sono un cultore di arte moderna in generale, con una predilezione per la fotografia inizio ‘900, da Harrell ad Alexander Liberman. Nella pittura in questo momento sono preso dal piglio romantico di Chagall e il lirismo di Sandro Chia. J.M.: Proprio Giulio Durini sta realizzando per te un ritratto, o una serie di dipinti, che saranno poi oggetto di una mostra. Dunque rispetto a Dorian Gray non celerai la tua immagine in una stanza buia, ma piuttosto la sottoporrai al pubblico? M.A.: Decisamente. Nella mostra ci sarà una policromia di personaggi che rappresentano una valenza esplicita; da Monica Bellucci al ex presidente della Repubblica Cossiga. Nel mio caso, ecco l’attore che mette a nudo elemento emotivo e fisico insieme, armato dalla sola gloriosa maschera del “Teatro Greco”. Durini ha realizzato anche un servizio fotografico particolarmente eloquente sul tema. E devo ammettere che, per un istante, ho riosservato il mio corpo immortalato con un attimo di stizza per il fatto che a me invece toccherà… sfiorire. Scherzo! Scrivilo pure: ben vengano gli anni in cui potrò giocare nei panni di personaggi canuti e farneticanti… Sono inspiegabilmente impaziente di vivere la mia vecchiaia. Per non parlare della mia prossima vita. Guarda il sito della John More International Acting Studios