Vinizio Marchioni, nudo in scena al Belli di Roma, nella rassegna di teatro omosessuale 'Garofano Verde', in 'Kouros', dramma in endecasillabi sul conflitto di un gay con il padre.
Un grido improvviso nella penombra della scena, fa sussultare e concentra l'attenzione sul dramma che si sta consumando davanti agli occhi degli spettatori: "Amo il mio cazzo, il cazzo di mio padre, / sorgente di ogni amore, puro amore…". A gridare è Ludovico, giovane e bellissimo kouros che non si perdona la propria omosessualità perché sa che non sarà perdonata dal padre. La colpa lo ossessiona, quella di essere ciò che è e di non essere quello che il padre vuole.
Stiamo parlando di "Kouros", tragedia scritta da Ludovica Ripa di Meana, per la prima volta in scena, al teatro Belli di Roma, all'interno dell'XI edizione della rassegna "Garofano Verde - Scenari di teatro omosessuale" curata dal critico Rodolfo di Giammarco.
Dice il regista Giuseppe Marini: «Figlio e frocio è l'impossibile. Amleto indossa i panni di Ludovico per tornare a proporre l'enigma degli enigmi: essere o non essere? Ancora una volta: Padre, Figlio (maschio), Sacrificio… pare non esserci scampo. O evirare il padre o esserne evirati. Il mito di Urano e di suo figlio Kronos è la sostanza mitica di questa tragedia contemporanea». E continua: «L'esibita classicità dell'impianto drammaturgico trova conferma in un dispositivo scenico essenziale ed allusivo che ne esalta la lingua, la musica del senso. Una sorta di suite, di jam-session, di messa cantata per Kouros, senza per questo rinunciare all'immagine».
Gli elementi della tragedia ci sono tutti: l'inizio sereno e la fine tragica, i monologhi, i dialoghi, i cori che martellano con i loro endecasillabi. Interessante la scelta di far recitare i ruoli femminili a uomini, secondo gli antichi canoni teatrali.
La storia si muove intorno alla figura di Ludovico (meravigliosamente interpretato da Vinicio Marchioni, che recita nudo per tutta la durata della tragedia), figlio di un potente e ricco imprenditore (Maurizio Palladino) che è solito tradire la moglie (interpretata da Stefano Quatrosi) con molte donne, soprattutto giovani. E il padre considera Ludovico l'erede di tutto il suo mondo e, nel momento in cui questi gli dichiarerà - anzi gli griderà («Sono checca! Sono frocio!») - i propri gusti sessuali, non esiterà prima a far finta di non capire e poi a diseredarlo completamente. La crisi che vive Ludovico alle prese con la difficoltà di gestire serenamente la sua omosessualità, viene resa attraverso il raffronto con l'attore che lo interpreta (Giandomenico Cupaiuolo), gay anche lui, ma molto meno problematico. Ma Kouros è anche un ritratto crudele e spietato dei meccanismi di una famiglia alto-borghese, nel raffronto tra le pulsioni interiori e la vox populi della massa, tra i molti "qualunqui" che si incontrano nella vita di ogni giorni. Ed è, soprattutto, poesia fatta di endecasillabi di indecente, impenetrabile bellezza.
Bella la scenografia: una pedana-basamento-altare-tavolo anatomico-sepolcreto contornata da sei sedie e sopra, sospeso, un disco di plex («il disco del sole, l'astro-ostia del nulla e del mai, l'aureola del santo, l'occhio-obiettivo» sottolinea il regista) che permette di avere una doppia visione di quel che avviene sul palcoscenico. Alle pareti rosso carminio, sei maschere bianche. Il perfetto gioco di luci e il candore dei costumi contribuiscono a rendere la rappresentazione fortemente emotiva, anche se a volte un po' troppo lenta in alcuni passaggi.
Ottima la regia di Giuseppe Marini, soprattutto considerando la difficoltà di portare sulle scene un testo decisamente complesso. Fra gli attori - tutti molto bravi - c'è da segnalare, oltre al protagonista, anche Benedetto Sicca che interpreta il ruolo di Giada in maniera veramente superba.
La rappresentazione si conclude la canzone "Cosa sono le nuvole" (di Pierpaolo Pasolini e Domenico Modugno) cantata da Domenico Modugno e ripetuta a fior di labbra sul palcoscenico da Ludovico: "Che io possa esser dannato / se non ti amo / e se così non fosse / non capirei più niente / tutto il mio folle amore / lo soffia il cielo / lo soffia il cielo / così".
Il pubblico ha seguito con estrema attenzione tutta la rappresentazione e alla fine ha espresso il suo gradimento con un lungo, intenso, sincero applauso. Alla prima c'erano Marina Ripa di Meana e Milena Vucotich. Presente anche l'autrice, Ludovica Ripa di Meana, che ha affermato di essere rimasta entusiasta della rappresentazione, e di essersi commossa nel corso del monologo finale di Ludovico, che Vinicio Marchioni ha saputo rendere intensamente.
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