Teatro

Parma: intenso omaggio a Petrassi

Parma: intenso omaggio a Petrassi

Grandi applausi a Bartoletti, solisti, orchestra e coro del Regio Nessun'altra opera poteva risultare più significativa per ricordare Petrassi, a un anno dalla scomparsa, del «Coro di morti», per la convergenza di tanti motivi che fanno di questa partitura, come sottolineava anche Mario Bortolotto nella introduzione al concerto condotta insieme a Jacopo Pellegrini l'altro giorno alla Casa della Musica, uno dei punti nodali entro la ricca mappa creativa del nostro compositore. Un intenso momento di riflessione si potrebbe infatti considerare quest'opera da cui si innerveranno varie linee destinate ad alimentare il successivo cammino petrassiano, e una spia non occasionale la si può scorgere nella stessa dedica, «a G.P.», vale a dire a se stesso, a svelare il senso sostanzialmente introspettivo che si muove dietro l'apparato più esposto di «madrigale drammatico»; dove, però, rispetto alla più scenografica eloquenza dei due imponenti esiti corali che precedono a stretta distanza, «Magnificat» e «Salmo IX», il discorso appare più decantato: innanzitutto nello stacco tra la cornice strumentale, estremamente condensata in quella sua asprezza timbrica che esclude ogni seduzione tattile degli archi e dei legni, e il confronto vocale con la poesia leopardiana la cui parola viene rivissuta con un'aderenza sensibilissima - da un coro sovente richiamato dalla sontuosa articolazione polifonica alla riduttività del segno omofonico - all'interrogativo inquietante, sibillino che affiora dal livido, surreale dialogo di Federico Ruysch. Un Petrassi che sembra appunto sottrarsi alle lusinghe, che pure lo avevano sfiorato, di un ripensamento, non esente da rischi manieristici, della grande stagione polifonica per guardare più dentro di sé; e non è un caso che, per dichiarazione dello stesso musicista, alla genesi di «Coro di morti» non sia stata estranea l'emozione provocata dalla notizia dell'entrata in guerra: l'inizio della composizione infatti risale al 20 giugno del 1940. Ma come ogni contingenza, pure la più tragica – e lo stesso potrebbe valere per il «Canto sospeso» di Nono - anche questa trova la sua sublimazione nel travaglio della creazione che in Petrassi è sempre sensibilmente tangibile, nella naturalezza con cui plasma la materia sonora, in quella sua estrosità - guarda caso «Estri» s'intitola una della sua composizioni più felici - che lo porta a toccare le più svariate situazioni, dalle meditazioni più intense di «Noche oscura» alle svagatezze dei «Nonsense», rimanendo sempre se stesso. Una positività che elide ogni filtro parodistico, ciò che ci fa sentire più che mai distante, nell'allungarsi della prospettiva e pur senza misconoscere il ruolo non marginale avuto sulla formazione di Petrassi, la presenza stravinskiana (certo, ineludibile nei due scherzi strumentali, che con intendimento grottesco il musicista insinua tra la meditazione corale); una peculiarità che l'esecuzione dell'altra sera ha lasciato ben intendere, nella evidenza affermativa proposta da Bartoletti, la cui lunga frequentazione dei nostri itinerari novecenteschi ha rappresentato una garanzia proprio nel restituirci l'autenticità di una particolare pronuncia, naturale appunto, libera da sovrapposizioni stilizzanti come pure da sovraccarichi programmatici, tesa a far espandere quell'espressività che il «Coro di morti» racchiude nel suo scabro tessuto e che l'altra sera ha trovato piena adesione da parte della compagine strumentale come dall'impegno non comune del coro diretto da Martino Faggiani . La stessa capacità di presa, del resto, che si è potuta apprezzare, ricordando anche le predilezioni di Bartoletti verso il teatro britteniano e i pregevoli esiti, nella bellissima Serenata per tenore,corno e archi , pagina di cui l'accostamento all'intensa riflessione petrassiana, pressoché coeva, è parso rendere ancor più netti quei tratti che Bartoletti ha saputo tradurre con la più segreta proprietà, cogliendone il senso lirico sottile, quella inconfondibile vena in cui dolcezze e asprezze si intridono vagamente con sfumanti screziature, qui filtrate dalle raffinate scelte poetiche, intonate con squisita sensibilità da Mark Milhofer, come pure riverberate dalla presenza evocativa del corno, quello prestigiosissimo di Radovan Vlatkovic. Un programma di «opere di giovani», diceva l'altro giorno Bortolotto riferendosi al Petrassi trentaseienne del «Coro di morti», al Britten trentenne della «Serenata» ma soprattutto allo Schubert della Sinfonia «Incompiuta» che chiudeva il programma e che sotto la bacchetta sempre animata ed eloquente di Bartoletti ha lasciato ben intendere anche la consapevolezza della compagine orchestrale. Esecuzioni premiate da calorosissimi applausi, al direttore, all'orchestra, al coro, ai solisti.