Teatro

''Sinistra, difendi teatro e cinema''

''Sinistra, difendi teatro e cinema''

Buona stagione per Mario Martone. Il suo ultimo spettacolo Edipo a Colono ha avuto un grande successo e il suo ultimo film, tratto da un romanzo di Goffredo Parise L'odore del sangue, ha fatto nascere molte discussioni. Pochi giorni fa poi, a Siracusa, nell'ambito del Fastival del teatro antico dell'INDA, in una serata dedicata a un uomo di teatro siciliano importante come Giusto Monaco, gli è stato assegnato l'Eschilo d'oro, un premio prestigioso che in passato ha avuto fra i suoi vincitori Salvo Randone, Vittorio Gassman e Piera Degli Esposti. Regista fra i maggiori della nostra scena e fra i più interessanti esponenti del cinema d'autore, innamorato di un teatro «meticciato» in grado di dialogare con linguaggi diversi, da sempre alla ricerca di un rapporto profondo e necessario fra scena, schermo e pubblico, Martone non si è mai rinchiuso nel bozzolo dorato del proprio lavoro e della propria arte, ma si è sempre battuto per le proprie idee e per la dignità del lavoro dell'artista. Di tutto questo e di una cultura (e di una politica) come reale dimensione del vivere ne parliamo con lui.
Martone, partiamo dall'appena ieri. Lei ha recentemente ricevuto, a Siracusa, un premio importante come l'Eschilo d'oro: i premi fanno sempre piacere ma vogliamo dire qualcosa di meno scontato?
Ovviamente ne sono felice anche perché lo vivo come un premio che in qualche modo corona il mio lavoro sulla tragedia greca che proprio a Siracusa ha raggiunto un risultato molto importante con una messinscena dei Persiani di Eschilo nella bellissima traduzione di Giusto Monaco, che fece rumore e che, per certi versi, scandalizzò. Ricordo che facevo usare agli attori i microfoni non solo tenendo conto dell'acustica non facile del Teatro Greco così dentro la città che è ben diversa da quella del teatro di Epidauro, in Grecia, immerso in un bosco, ma proprio come scelta drammaturgica, espressiva che mi sembrava particolarmente significativa per un testo che vive tutto nell'attesa di una notizia che sarà ferale perché i Persiani sono stati sconfitti disastrosamente dai Greci. In quello spettacolo insomma non ho fatto del calligrafismo ma un uso espressivo del microfono come di una maschera che in qualche modo separava la voce dal corpo. Una scelta che veniva da lontano e che, per esempio, uso anche oggi nel mio ultimo spettacolo Edipo a Colono di Sofocle.
Con «Edipo a Colono» lei è ritornato al Teatro di Roma di cui era stato direttore e da cui se ne era andato sbattendo la porta…
Quando la nuova dirigenza del Teatro mi ha chiamato devo dire che la cosa mi ha colpito come un grandissimo atto di civiltà. Per accettare però ho posto la condizione di poterlo fare all'India, teatro che ho inventato e fortemente voluto quando ero direttore, un teatro che sento come una mia creatura e che ora appartiene alla città, ma nel quale non ho mai realizzato uno spettacolo. Provare all'India è stata una grande emozione per me, una grande gioia civile che mi ha convinto sempre di più che non conta tanto realizzare le cose per noi quanto condividerle con gli altri.
«Edipo a Colono» ha significato non solo un ritorno al Teatro di Roma ma alla scena in senso lato anche se, da qualche tempo, lei fa parte del comitato che affianca Ninni Cutaia al Mercadante di Napoli: può parlarci di questa esperienza?
Anche alla base della mia partecipazione a questo comitato che comprende Enzo Moscato, Roberta Carlotto, Renato Carpentieri, c'è un'idea che chiamerei «assembleare» del teatro che mi porto dietro fin da quando ho cominciato a farlo, a vent'anni: un teatro costruito sugli incontri, non centrato su di una personalità unica, un teatro come cantiere, assemblea, dialettica fra artisti e spettatori. Il teatro per me non è mai stato una torta da dividere a fette. Al Mercadante, poi, c'è un Consiglio d'amministrazione che sta dalla parte dei teatranti e per me - visto l'esperienza che ho avuto a Roma come direttore - conta molto. Perché ho sempre creduto che non ci possa essere teatro se non c'è sintonia fra amministrazione e direzione artistica. A Napoli, con il Mercadante, c'è stata la possibilità - cosa rara - di fare un teatro partendo da zero, con una distribuzione delle risorse soprattutto sulla produzione artistica piuttosto che sulla gestione. E questo il pubblico lo ha capito.
Progetti per il futuro?
Con Enzo Moscato sto lavorando a un progetto su Anna Maria Ortese, sulla sua opera, sul suo linguaggio, sul suo mondo poetico, sugli echi che ha ancora dentro di noi. Su questo lavora Moscato con una scrittura fraternamente vicina a quella dell'Ortese. Poi riprenderò Edipo a Colono che ritornerà in scena in occasione del Festival dei Teatri d'Europa che si quest'anno si terrà a Roma.
Anna Maria Ortese, Goffredo Parise: il suo è spesso un teatro e un cinema che dialoga con la letteratura…
Si l'ho fatto anche con Elena Ferrante per L'amore molesto, per esempio. Ne sono attratto forse perché la mia esperienza teatrale e cinematografica è sempre stata di confine: ho sempre sentito il fascino del dialogo fra i generi. «Nasco» teatralmente negli anni Settanta, affascinati dalla contaminazione fra i linguaggi: dentro di me è sempre rimasta questa tensione che ha colpito, per esempio, anche gli spettatori di Edipo a Colono che certo metteva in scena Sofocle parola per parola ma anche la mia storia, ciò di cui sono fatto e che sono ancora. Questo mio modo di fare e di pensare il teatro ha trovato negli anni Ottanta degli anni belli, carichi di speranza, che poi, purtroppo, sono finiti nel terrorismo. Voglio cercare di fare sopravvivere quello che c'era di forte, di importante, di positivo in quell'epoca in tempi come questi che appiattiscono tutto. Pensi, per esempio, alla legge sul cinema di oggi in base alla quale si finanziano i produttori e dunque di riflesso, il cinema commerciale, e non gli artisti: pensare che, comunque, gli artisti riusciranno a fare la loro strada non è una consolazione. Se tornassi indietro con la legge di adesso non potrei mai fare un film come Morte di un matematico napoletano .
E la sinistra, invece, ha fatto molto per il teatro e per il cinema?
La sinistra ha fatto tante cose buone e tanti errori. Il problema vero della sinistra è un altro: quello di essere disarticolata, di non riuscire a trovare un segno comune. Ora mi chiedo: come potrebbe trovare un segno unitario per quel che riguarda il teatro se non è riuscita a trovarlo sulla guerra? Lo sforzo vero, per la sinistra, sarebbe di avere la capacità di elaborare un progetto riconoscibile, comune.