Amleto e Adamo, Principio e Origine, Teatro e Vita. Concetti e parole che cambiano il volto di uno spettacolo; nella personalissima concezione del CK (Colossal Kitch) Teatro, diretto da Leonardo Ferrari Carissimi e Fabio Morgan, a uscire sconvolta e trasformata è soprattutto la concezione del teatro stesso, inteso come costruzione del personaggio e lavoro d’attore.
Quello che accoglie lo spettatore penetrato nella sala Orfeo non ha più nulla di uno spettacolo classicamente concepito. Il palco, lo spazio fisico in cui solitamente si muove il corpo concreto di uno o più attori, viene completamente svincolato dal suo contesto e dalla sua identità. Se all’inizio una sorta di Eden naturale, con albero della vita e relativa Mela, sotto cui siede pensoso un Amleto con tanto di originale abito elisabettiano, può indurci a pensare a un’innovativa ma tutto sommato inquadrabile versione del principe di Danimarca, quanto segue trascina il pubblico in ben altra dimensione e contesto.
Il velo (di Maya) diventa una quarta parete tridimensionale, trasformandosi in schermo e cancellando completamente scenografia e attore. Lo spettacolo vero inizia da lì e viene interamente filmato, raccontato e deformato da un microfono e da voci alterate. Amleto come personaggio teatrale viene metamorfosato in archetipo visivo e la sua storia, i suoi personaggi, la sua significazione come eroe elisabettiano viene rimessa in discussione, letteralmente smembrata in immagini, parole, visioni oniriche che passano sullo schermo senza soluzione di continuità.
È un teatro che richiama alla filosofia, alla speculazione e alla ricerca estrema, al punto da sacrificare la propria stessa natura di finzione. Lo schermo diventa una finestra mediatica attraverso cui si muovono gli attori che impersonano Amleto, Gertrude e Ofelia, non più nelle loro vesti fisiche, ma come immagini, marionette, simboli, incubi in cui avvengono strani riti, dove la congiura di re Claudio, la colpa della regina madre, la tristezza già un po’ folle di un’amante rifiutata sembrano veramente porzioni di una “favola raccontata da un idiota”, come un sogno lucido da sognare da svegli. Cessate le frasi shakespeariane che, come pallidi spettri dalla sottile metrica, hanno accompagnato il viaggio onirico e cinematografico di un personaggio teatrale, Amleto torna solo e in carne ed ossa per affrontare un ultima volta il pubblico e dire “sì, sono guarito. Guarito da una lunga malattia chiamata Amleto”.
L’operazione di ricerca del CK (Colossal kitsch) Teatro si ferma qui, per questa volta: il suo binomio di registi conferma con questo lavoro il tentativo e l’ispirazione di un’idea e di un volto nuovo per il teatro, che porti il messaggio e la dimensione dei personaggi teatrali fuori dal loro territorio per farne veri e propri simboli universali, passando da ogni possibile linguaggio conosciuto. Fino al prossimo passo evolutivo.
Roma, 5 maggio 2009
Teatro dell’Orologio – sala Orfeo
Visto il
al
Dell'Orologio - Sala Orfeo
di Roma
(RM)