NAPOLI, NON NAPOLI: COSI’ FAN TUTTI
Lorenzo Da Ponte aveva inizialmente pensato di ambientare la vicenda a Trieste, porto dell’impero asburgico sull’Adriatico, poiché l’opera era destinata al Burgtheater di Vienna, Ma Mozart si oppose, preferendo un luogo pittoresco ed evocativo come Napoli. Infatti, se è davvero difficile pensare a Trieste come al luogo di soggiorno ideale per le due ragazze ferraresi, ben diverso è il caso di Napoli, all’epoca grandiosa capitale del Regno meridionale, metropoli tra le più sviluppate del mondo, centro indiscusso dell’illuminismo italiano (naturale residenza di un filosofo come Don Alfonso), sede del più prestigioso teatro lirico della penisola, il San Carlo, ma soprattutto epitome vivente del conflitto fra i sentimenti e la ragione alla base di Così fan tutte, che è un viaggio nei sensi e nell’intelletto, come ogni viaggio a Napoli, ancora oggi. Immagino Amadè che dice, in napoletano, al suo librettista: “Ma qua’ Trieste?! Adda esse Napule!”.
Il sensuale Sud che seduce il compassato Nord. Forse un mito, ma, certo anche per questo, come altri miti, adattissimo ad essere messo in scena. Fiordiligi e Dorabella non possono non essere sedotte dall’irresistibile dolcezza e dalla forza della musica mozartiana, realmente capace di evocare le atmosfere del golfo di Napoli con le sue tiepide brezze, lo sciabordio delle onde, le serenate notturne: il sublime terzetto “Soave sia il vento” è un tributo alla tradizione operistica napoletana degli zeffiri, cui rimanda anche l’impiego della rarefatta tonalità di Mi maggiore. Impossibile che il cuore non abbia un sussulto, ogni volta.
Di questa Napoli che voleva il compositore poco è rimasto nell’allestimento delle Fondazioni Teatri di Reggio Emilia e Arena di Verona (appositamente adattato per la sala Petrassi dell’Auditorium), se non una luminosità mediterranea, i colori caldi del sud nelle luci ed una fissa pedana di legno chiaro che potrebbe ricordare una spiaggia. Ma poco importa, lo spettacolo convince e funziona bene nella scena splendidamente scarna ed essenziale di Giovanni Carluccio, a cui si debbono anche le luci e i costumi, mentre le proiezioni video sono di Luca Scarzella e rifiniscono l’allestimento.
Se in epoca romantica vedevano Così solo come un immorale esperimento clinico messo a punto da uno scienziato senza cuore con l’aiuto di una sordida assistente di laboratorio, oggi questa lettura è ritenuta fuorviante e scorretta, poiché Da Ponte, ispirandosi di certo a Marivaux, non vuole essere né cinico né immorale, bensì animato da una spiritualità lieve e spensierata: Don Alfonso non è né vuole essere uno scienziato, è un filosofo di stampo illuministico e giuseppino, che crede nella conquista del bene e della verità, anche mediante un duro metodo didattico (Don Alfonso vuole mostrare a Guglielmo il tradimento di Fiordiligi con Ferrando, lui non vuole vedere e allora Don Alfonso gli afferra la testa per i capelli e, spietatamente, lo obbliga a prendere coscienza della verità).
E infatti Mozart, fin dall’inizio, musicalmente si prende gioco non solo della credulità di Dorabella e della nevrotica teatralità di Fiordiligi, ma anche dei loro rispettivi amanti, Ferrando e Guglielmo, indistinguibili l’uno dall’altro nei terzetti di apertura.
Leggerezza e spensieratezza sono anche alla basse delle scelte registiche moderne e tradizionali al tempo stesso di Daniele Abbado, che punta l’accento sul divertimento e sull’ironia (il Signor dottore “ha di un ferro la mano fornita”: Despina tenta la rianimazione degli innamorati con due ferri da stiro), evita di colpevolizzare uno o l’altro dei personaggi e sposta l’azione negli anni ’60 in un luogo imprecisato. Soprattutto cura nel dettagli la recitazione dei sei protagonisti, ottimi attori oltre che bravi cantanti di una compagnia omogenea. Alex Esposito è un Guglielmo irascibile e vivace, che ci ha abituato a salti e capriole da atleta e qui cammina sulle poltrone della platea come Benigni durante la serata degli Oscar. La sua è una voce splendida per timbro e colore, sempre controllata e vibrata di accenti sentimentali e la linea di canto impeccabile, come anche la mimica facciale. Laura Polverelli è una Dorabella perfetta nel timbro e nell’intonazione, oltre che nel riempire il palcoscenico con una espressiva gestualità e una presenza mobile e maliziosa. Bravissimo Andrea Concetti nel ruolo oramai abituale di Don Alfonso, non anziano ma maturo (di quella maturità che gli studi e la frequentazione della filosofia rendono profonda, salda e concreta), misurato, equilibrato, al tempo stesso distaccato dalla situazione ma partecipe agli eventi, teso “didatticamente” ad insegnare a tutti che.. “così fan tutti”. Nuccia Focile è una brillantissima Despina, Saimir Pirgu un intenso Ferrando.
All’ultimo momento Myrtò Papatanasiu ha sostituito l’indisposta Adriana Damato, nel ruolo già affrontato a Verona e Reggio Emilia, bella presenza e discreta voce, soprattutto nel registro centrale, corposo e bene usato.
Roland Boër ha diretto l’ottima orchestra di Santa Cecilia in modo intelligente e personale, evidenziando colori e umori insoliti con un uso particolarissimo e dosato alla perfezione degli eccellenti fiati, seppure nell’overture e in alcuni momenti con eccessiva velocità. Coro di Santa Cecilia.
Le coppie iniziali alla fine si ricompongono, Guglielmo e Fiordiligi, Ferrando e Dorabella, senza dubbi, senza novità: in quest’anno mozartiano per i primi ci ha pensato Mario Martone a Napoli, per le seconde Peter Konwitschny a Berlino. Un meritato trionfo per tutti.
Visto a Roma, Auditorium – Sala Petrassi, il 23 giugno 2006