Lirica
IL TROVATORE

Il Trovatore crea uno spartia…

Il Trovatore crea uno spartia…
Il Trovatore crea uno spartiacque nella produzione verdiana: non siamo ancora allo scavo psicologico delle opere della piena maturità ma non c’è già più l’impeto risorgimentale delle opere precedenti. Spesso viene accomunato a Rigoletto e Traviata in una sorta di trilogia “popolare” o “romantica”, per il ceto sociale dei protagonisti o per la tensione interna e l’anelito dei sentimenti. Ma invero Trovatore non ha l’evoluzione psicologica dei protagonisti che le altre due hanno, sembra un’opera “retrospettiva” (con un richiamo particolare a Ernani) per la particolare energia musicale e la storia più che messa in scena è qui narrata: Ferrando racconta la storia del fratello del Conte, Leonora racconta di come si sia innamorata di un guerriero in un torneo, Azucena racconta la storia di sua madre. Insomma per una buona metà del libretto tutti narrano qualcosa già avvenuto, gli antefatti della vicenda presente e la preparazione all’epilogo, ovviamente tragico, non solo per chi perderà la vita. La regia di Paul Curran è rispettosa del libretto ed abile nel sottolineare le oscure paure sottese alla trama, la terribilità dell’integralismo, la nozione dell’onore e della dignità cavalleresca e soprattutto la tinta cupa e misteriosa della musica. In questo è coadiuvato dalla bella scena di Kevin Knight, caratterizzata dall’astratta atemporalità di elementi fissi che evocano gli ambienti (interni ed esterni) più che raffigurali ma che al tempo stesso rispondono al bisogno concreto di vedere e dare spazio alle emozioni di cui la musica si fa tramite. Importante il contributo delle luci di Bruno Poet, in un’opera “notturna” come questa: fasci di luce che piovono dall’alto e poco rischiarano un ambiente cupo, dominato da un’indistinta penombra, mentre alcuni elementi sono evidenziati da belle luci bianche o colorate, spesso di taglio. I costumi, splendidi, evocano la metà dell’Ottocento. Di buon livello il cast, cui il pubblico ha tributato un tifo da stadio. Sondra Radvanovsky è una Leonora forte e decisa a prendersi l’uomo di cui è innamorata, senza cedere alle lusinghe e ai ricatti del Conte. La soprano ha una voce potentissima ed a momenti fatica a controllarne l’emissione, a scapito della cura e dei particolari (“la potenza è nulla senza il controllo” diceva una celeberrima pubblicità di pneumatici con Carl Lewis sui tacchi a spillo), soprattutto nel registro acuto, dove, invece che una salita graduale, si ha una sorta di impennata che in alcuni momenti porta ad acuti di tono più elevato della musica. Ma la voce è bellissima per colore e pienezza di registri, tendente piacevolmente ad un colore scuro che a tratti si vela di accenti da mezzo o addirittura da alto. Certo è che la Radvanovsky, se vuol affermarsi in Italia tanto quanto è popolare nel mondo anglosassone, deve curare di più la dizione, vero lato debole della sua ottima prova. Nella prima aria “Tacea la notte placida” la soprano sfoggia un elegante e possente vibrato, ottimamente sostenuto. All’inizio del quarto atto la sua “D’amor sull’ali rosee” è cantata con una rara ed emozionante intensità come ben affrontati sono tutti gli altri momenti, senza nessuna piega. Altrettanto brava Marianne Cornetti, per la quale valgono alcune delle considerazioni fatte per la precedente: il mezzosoprano americano ha voce bella e potente, ma punta più su questo che sulla melodia e sul fraseggio. Rivela straordinarie dotti attoriali, soprattutto nella fine del secondo atto, quando sembra un animale selvatico che si ribella alla cattura presentendo la morte e tenta un’ultima ribellione. La Cornetti è riuscita a rendere palpabile la strana personalità della zingara, concentrata su due poli essenziali, l’amore materno e la sete di vendetta. Buona la prova anche del baritono Vladimir Stoyanov concentrato non solo sull’unica aria che Verdi gli ha riservato (“Il balen del suo sorriso”) ma anche nel resto della sua presenza in scena, mentre alterna è stata la resa del tenore Walter Fraccaro nel ruolo del titolo, buona nei momenti trovadorici sostenuti dal solo frullo dell’arpa, fuori tonalità nell’attacco del duetto alla fine del terzo atto. Riccardo Zanellato è stato un possente Ferrando, Miriam Artico una debole Ines. Il tocco della coppia Curran-Knight è di estrema eleganza ed essenzialità, in una messa in scena caratterizzata da momenti di intensa poesia: al sipario la grande scalea è occupata da corpi distesi vestiti in splendide divise (pantaloni scuri e giacche rosse); nella scena terza dell’atto secondo si apre il portone a due battenti sullo sfondo, sei suore recano lampioncini di carta, li posano a terra, se ne vanno e il portone si richiude, creando in un attimo l’atmosfera del convento (i soldati sbirciano curiosamente le monache, ma Ferrando li fa schiacciare contro i muri delle scale per non essere visti), mentre il cielo è dipinto a larghe campiture di colori freddi, simile alle pareti di tavole di legno non livellate. Sicuramente una prova meno “di rottura” rispetto ai recenti Tannhauser (teatro alla Scala, Milano) e “I lombardi alla prima crociata” (teatro Comunale, Firenze) che qui ho recensito, ma una prova davvero riuscita. Insomma nel complesso un Trovatore bello e interessante, realizzato con la consapevolezza stilistica che è un capolavoro romantico pieno di misteriosa bellezza, una bellezza fatta di contrasti e controluce, musicali e tecnici, che scenografia e regia contribuiscono ad esaltare ma che la direzione musicale è poco in grado di rivelare. E quella trama di segreti intarsi che è Trovatore sfugge. Il dato più rilevante di Patrick Fournillier è l’eccessiva lentezza, soprattutto nel quarto atto, per cui non si evidenzia neppure la “muscolarità” della partitura (come l’ha ben definita Gian Paolo Minardi). Però risponde in modo soddisfacente la Filarmonica Marchigiana. Buona la performance del coro lirico marchigiano, preparato da Matteo Salvemini, che nel famoso “Chi del gitano” rende al meglio, anche nel battere i martelli sulle incudini. Ancona, Teatro delle Muse, il 26 febbraio 2006
Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)