Euripide

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Spettacoli

IFIGENIA
Eva Romeo
IFIGENIA
PALCHI DIVERSI ESTATE AL CASTELLO DI DONNAFUGATA (all'interno del Parco)
PALCHI DIVERSI ESTATE AL CASTELLO DI DONNAFUGATA (all'interno del Parco)
Le Baccanti. Dionysus, il dio nato due volte
Le Baccanti. Dionysus, il dio nato due volte
Medea
Medea
MEDEAE...da Euripide in poi
MEDEAE...da Euripide in poi
SANTA ESTASI: Elena
SANTA ESTASI: Elena
SANTA ESTASI: Ifigenia in Aulide
SANTA ESTASI: Ifigenia in Aulide
Alcesti
Alcesti
Le Troiane
Le Troiane
DIONYSUS Il dio nato due volte
DIONYSUS Il dio nato due volte
ELETTRA
ELETTRA
GIASONE E MEDEA
GIASONE E MEDEA

Contenuti redazionali

"Ifigenia e Oreste": la tragica umanità di Euripide, tra potere e famiglia
Valerio Binasco dirige Ifigenia e Oreste, due tragedie che, partendo da Euripide, compiono un’interessante indagine sul dolore, sulla solitudine della famiglia e sulle sue responsabilità quale istituzione sociale.Indagare il repertorio classico attualizzandone i temi è ormai diventata la cifra stilistica del Binasco regista, ma in questo caso la scelta consapevole di affrontare il tema del dolore senza considerare la componente religiosa consente di comprendere meglio i sentimenti umani che muovono le azioni dei personaggi, rendendo, però, le due tragedie contemporanee quasi all’eccesso. Entrambi gli spettacoli possono considerarsi semplici, ma “estremi” dal punto di vista scenografico (è questa è cosa buona): viene eliminato il coro dalla scena e gli spettatori assistono, sugli spalti posti ai lati del palcoscenico, alle azioni dei personaggi, che si muovono come sulla passerella di una sfilata di moda, indossando abiti rigorosamente contemporanei.Agamennone, preda della sua ambizioneValerio Binasco interpreta Agamennone nella prima tragedia: un uomo tormentato, preda della sua ambizione, la persona sbagliata nel posto sbagliato, incapace di gestire il potere che si è ritrovato tra le mani. Insomma, una “banderuola”, come lo definisce il fratello Menelao (Jurij Ferrini). Il suo tormento è estremo, ma lo rende comunque impassibile di fronte alle suppliche dell’amata figlia Ifigenia (Giordana Faggiano); lo spettatore percepisce questa profonda incapacità di agire (che sarebbe troppo riduttivo definire “senso di colpa”), tutte le volte che incrocia il suo sguardo, poiché, per gran parte dello spettacolo, l’attore percorre nervosamente avanti e indietro con una traiettoria fissa) lo spazio scenico.Arianna Scommegna è una vibrante Clitemnestra, toccante nel ruolo di una moglie e madre ingannata, che rifiuta, ma poi è costretta ad arrendersi al sacrificio della figlia. E Giovanni Calcagno porta in maniera esemplare sul palcoscenico la proverbiale “ira funesta del Pelìde Achille” (anch’egli eroe ingannato) per cui tutti lo ricordano.Un sacrificio necessario?L’unica a comprendere la necessità del sacrificio, sublimandolo in amor di patria, è proprio Ifigenia: Giordana Faggiano incarna con convincente candore e determinazione il repentino cambiamento di atteggiamento (già presente nei versi di Euripide), da “cocca di papà spaventata” a donna che sceglie consapevolmente di morire per un fine superiore. E anche per questo appare suggestiva, ma opinabile, la scelta di mostrare al pubblico una cruda versione del sacrificio di Ifigenia, con l’irrompere in scena di un'auto elettrica giapponese, dentro al cui bagagliaio viene sistemato il cadavere della sventurata. E, in seguito, inviare comunque un Messaggero a Clitemnestra, ad annunciarle che Ifigenia non è stata uccisa, ma la dea Artemide l’ha trasformata in una cerva.Oreste e l’inutile strageNon si può raccontare Oreste omettendo di specificare che, nella tragedia precedente, era un bambino spensierato (interpretato dal piccolo Matteo Leverano), suo malgrado coinvolto in un dramma familiare del quale comprendeva ben poco.Il trauma del sacrificio di Ifigenia, mai superato da Oreste e dalla sorella Elettra (ancora Giordana Faggiano, in un’ulteriore, incisiva  interpretazione), riemerge prepotentemente, sfociando nell’assassinio della madre Clitemnestra e del suo amante Egisto.L’interpretazione di Giovanni Drago incarna alla perfezione lo stato d’animo e le caratteristiche di un giovane matricida contemporaneo: bipolare, probabilmente imbottito di farmaci perché perseguitato dalle Erinni (ovvero preda di allucinazioni), il suo corpo ben fatto ma sciupato dalle sue colpe, sembra cedere volentieri alle crisi epilettiche. Ma si intuisce subito che a scatenare la volontà del delitto non sono semplicemente vendetta, ribellione oppure un transfert: Oreste, Elettra e Pilade (Giovanni Anzaldo) rappresentano una generazione perduta, vittime (consapevoli) di una spirale di violenza che li spinge a compiere una strage totale (Binasco non risparmia neanche Ermione, la figlia di Elena e Menelao) e inutile.Interessante, infine, la doppia interpretazione di Menelao: nel primo spettacolo Jurij Ferrini rappresenta la bellicosa voce dei soldati in attesa di partire per la guerra; nel successivo, Nicola Pannelli è un Menelao assorto e pacato, che però fuma nervosamente facendo avanti e indietro per tutto lo spazio scenico.
Morire nell'acqua, per ricominciare: Livermore incanta con l'Elena di Euripide
Acqua, tanta acqua: acqua in video e acqua reale, sul palco trasformato in una piscina da 400 mq  dove si muovevano gli attori e le navi, sormontati da un muro a led da 16 metri. Il Teatro Nazionale di Genova ha messo in scena Elena di Euripide con un allestimento rutilante di colori, suoni, luci, riflessi ed effetti speciali, nati dalla regia di Davide Livermore, che deve essersi anche divertito a nascondere nella scenografia diverse citazioni di un film-simbolo di questi temi come 2001 Odissea nello Spazio.Elena, la BellezzaElena, donna di eccezionale bellezza, è figlia di Zeus e Leda, e moglie di Menelao, re di Sparta. Il troiano Paride, dopo avere espresso il suo giudizio sulla bellezza delle tre dee Era, Atena e Afrodite, ottiene Elena come premio e la porta con sé a Troia. Menelao va a riprendersela, e inizia la sanguinosa guerra di Troia.Euripide introduce una variante: Paride non porta a Troia la vera Elena ma una specie di fantasma corporeo, tale da ingannare tutti. A causa degli intrighi degli dei la vera Elena finisce in Egitto, affidata a re Proteo che la deve custodire fino all'arrivo di Menelao.Naufragi dell'esistenzaUna scenografia di ampio respiro ed evocativa, con navi e altri oggetti a rappresentare la concretezza degli eventi narrati, pur nella trasfigurazione simbolica necessaria a trasformare i relitti di un singolo naufragio nel simbolo dei tanti naufragi reali ed esistenziali che da sempre caratterizzano l’esistenza umana.Ha giovato il rigore filologico nello schema rigido della tragedia classica: il prologo che introduce il dramma, la parodo (l’entrata in scena del coro passando dai lati), tre episodi narrativi in cui si sviluppa la vicenda intervallati da stasimi, le pause di riflessione in cui il coro commenta la situazione. Infine, l'esodo dove si tirano le fila e si chiude. Nel prologo Laura Marinoni (Elena) e Viola Marietti (il messaggero Teucro) creano subito il pathos giusto, su cui incanalare il resto dell’opera.La rivoluzione di EuripideElena non andava in scena in Italia da 40 anni. E’ stata scritta nel 412 A.C., e già allora emersero i suoi elementi di novità. Non è una vera tragedia ma piuttosto una tragicommedia, probabilmente la prima nella storia del teatro: l’elemento tragico è meno importante rispetto al gioco degli equivoci. E’ il prototipo del moderno dramma a intreccio, dove l’attenzione è rivolta allo sviluppo della trama più che alle sue implicazioni morali (che pure sono ben presenti). In Elena ci sono gli elementi tipici della commedia ancora di là da venire: l’azione del caso, oltre che del destino; il lieto fine; l’agnizione (il riconoscimento di qualcuno che dà la svolta alla vicenda). E un po' di comicità: nel secondo episodio il tragico sconfina nel comico. In questa tragedia non muore nessuno, se non nell’ultima scena: dove la morte ha comunque più un significato simbolico che reale. L'irruzione del comicoNel secondo episodio il re egizio Teoclimeno, interpretato da un brillante Giancarlo Judica Cordiglia, vuole sposare Elena dopo la morte di suo padre Proteo. Teoclimeno si presenta inopinatamente vestito da damerino veneziano del 700, con tanto di eloquio affettato vicino al birignao. Sarà un caso, ma Teoclimeno cade nell’inganno proprio come farà 21 secoli dopo il signorotto di turno preso in giro da Arlecchino. A organizzare il raggiro sono Elena e Menelao, sposi ritrovati che non si vogliono certo separare a causa dei maneggi di Teoclimeno. Elena è interpretata da Laura Marinoni, perfetta nel ruolo e nell’immagine: nella gestualità, nella presenza scenica e spesso anche nell’espressione assomiglia a Irene Papas, indimenticabile Penelope degli anni 60. Sax Nicosia è Menelao, abile a spaziare tra i registri dell’eroe epico e quelli della commedia. Volitivo, atletico, sconfortato e stanco al punto giusto. Un meccanismo perfettoQui Il coro è composto da mimi che sono anche ballerini e voci recitanti. Gli attori si presentano in scena coperti da veli come le presenze femminili nelle tragedie; poi restano a torso nudo, con panneggi che richiamano le gonne: sono contemporaneamente uomini e donne. Ci sono momenti in cui il coro ha movenze da flamenco, e la musica, composta da Andrea Chenna, si trasforma nella Valse di Ravel. Simonetta Cartia nel ruolo di Tenoe, l’indovina che distingue il giusto dalla legge, è ieratica e solenne al punto giusto.Acqua, specchio di tuttoIl filo conduttore di tutto è l’acqua, specchio che contiene relitti materiali, relitti umani e relitti del mito. Sullo schermo passano immagini di mare in tempesta oppure di mare tinto di rosso sangue, metafora della vita fin troppo evidente.L’acqua è protagonista, è personaggio. Le scenografie galleggiano, simbolo di precarietà e provvisorietà dell’esistenza. Una serva, interpretata da Maria Grazia Solano, ramazza il lago con una scopa: ma l’acqua torna inesorabilmente al suo posto. Ininfluenza dell’azione umana sul corso delle cose e del caso.L’acqua è specchio che interagisce con la scena, riflettendo, distorcendo, spezzettando e moltiplicando i colori, le luci, i ricordi, i fatti. Uno specchio che filtra e distorce la realtà, mettendo in dubbio anche le identità.Morte e rinascitaSarà vero che Elena non è mai stata a Troia? Sarà vero che è  stata una macchinazione degli Dei? O forse è un ricordo falso, una bugia autoconsolatoria della stessa Elena per sopravvivere alla disperazione di essere stata la causa di tanti lutti? Menelao è tornato da Troia con un fantasma, che sale in cielo e si dissolve quando l’eroe incontra la vera Elena. L’acqua sostituisce la terra nel binomio con il cielo; qui l’unica terra è quella che ricopre i corpi dei morti a Troia e quello del re Proteo: ma anche la tomba di Proteo sembra galleggiare e spostarsi. Nel mito di Narciso l’acqua è lo specchio che fa scoprire sé stessi:  qui i messaggeri che annunciano verità scomode avanzano tenendo davanti a sé proprio uno specchio. Come a dire che è tutto vero, ma è vero anche il suo contrario riflesso.Nell’archetipo l’acqua è simbolo di palingensi, morte e rinascita, è l’acqua che ci porta da una parte all’altra della vita: come nel finale, quando tutti muoiono uno dopo l'altro attorno ad Elena, accasciandosi nell’acqua, e lei rimane sola. Forse è il disvelamento dell’inganno, la pietosa bugia con cui Elena ha coperto le sue disgrazie: lei è davvero andata a Troia, e a causa sua sono morti tutti. O forse è il simbolo di un ciclo che si chiude per ricominciare.
Al Teatro Antico di Taormina Gabriele Lavia rilegge Medea di Euripide attraverso il male di vivere
Doppio appuntamento l’8 agosto con la prima nazionale di “Medea “e il 9 agosto con “Il sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij per la regia e l’interpretazione di Lavia.