Difficilmente chi assisterà a questo Frankenstein troverà quello che aspetta.
Perché le numerose rese cinematografiche hanno stratificato nel corso degli anni un’idea piuttosto fuorviante del pioneristico testo di Mary Shelley, condannato suo malgrado a consacrarsi come icona horror di dubbio gusto. La lettura del materiale originale è in questo senso sorprendente: in primo piano non c’è la ricerca gotica della paura a tutti i costi, bensì la sconcertante umanità della Creatura, scaraventata al mondo con un fardello inestricabile di domande. La sua dolorosa solitudine è in realtà la chiave di tutto il testo, e illumina a posteriori perfino il tortuoso percorso del giovane Victor verso la creazione. In un gioco continuo di ribaltamenti e specchi, ci troviamo davanti alla tormentata continuità che lega la passione prometeica del ventiquattrenne Victor alla desolata diversità della sua Creatura, la cui rabbiosa protesta è la protesta dell’Uomo contro i limiti – di ogni tipo – che lo atta
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