Londra, 2027. La razza umana sembra ormai destinata all’estinzione, dal momento che una forma di sterilità causata da agenti sconosciuti ha bloccato le nascite ormai da 18 anni. In una società violentissima e fortemente razzista verso le minoranze che cercano rifugio, Theo (Clive Owen) ha da tempo rinunciato a combattere la sua battaglia ideologica e si limita a sopravvivere in un presente che lo sconcerta. Quando viene contattato da Julian (Julianne Moore), leader della resistenza, l’uomo si ritrova in un intrigo di cui diventa suo malgrado protagonista: deve infatti tentare di scortare una giovane ragazza fino alla costa, dove verrà messa in salvo da una nave. Perché questa donna è così importante per le speranze dei ribelli? Una volta scoperto il suo segreto, Theo sarà disposto a mettere a rischio la sua vita pur di portare a temine la sua missione.
Con questa pellicola di enorme intensità emotiva e notevole coerenza estetica Cuaron si candida seriamente a competere per il Leone d’Oro. Tratto dal romanzo di P.D. James, “Children of Men” è infatti un film bellissimo, ammantato di una matrice realistica che a tratti si fa davvero scioccante (anche per merito della fotografia di Emmanuel Lubezki). Il cineasta di origine messicana - che dopo “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” (Harry Potter and the Prisoner of Azkaban, 2002) si sta dimostrando sempre più capace nel saper adattare la sua visione precisa e fluida ai prodotti a sua disposizione – predilige una messa in scena che precipita lo spettatore in un incubo di livida lucidità: tutto infatti nel film ha il sapore inquietante del possibile.
Lavorando su una sceneggiatura precisa come un congegno ad orologeria, e capace di inserire in una narrazione “forte” anche moltissimi spunti di riflessione socio-politica, Cuaron riesce ad adoperare tutte le armi del mezzo-cinema a sua disposizione per irretire e convincere chi guarda. La matrice principale del suo spettacolo è ad esempio il piano sequenza, che in più di un occasione regala momenti di grande spettacolo cinematografico. Anche quando sembrerebbe abusare dalla sua maestria, Cuaron non perde comunque mai il senso di ciò che sta raccontando per immagini, e riesce quindi a passare dalla rappresentazione più cruda del conflitto alla poesia disperata della redenzione (una delle splendide scene finali).
Dei vari lungometraggi che in quest’ultimo periodo ha visto l’utopia negativa come sfondo cupo per raccontare le contraddizioni del nostro presente – vedi anche il recente “V per Vendetta” (V for Vendetta, 2006) di McTeigue – “Children of Men” è senza dubbio l’opera più toccante e sconvolgente; merito della sua indubbia riuscita va anche attribuito alla partecipazione sentita di un gruppo di grandi attori, con in testa un Clive Owen sempre più carismatico e convincente. Un’opera preziosa, durissima e non conciliatoria, destina a far discutere ed a essere amata.
Di Adriano Ercolani
Cinema