Cinema

Doppia recensione:'Le seduttrici' e 'Thank your for smoking'

Doppia recensione:'Le seduttrici' e 'Thank your for smoking'

Iniziamo con due recensioni, in qualche modo apparentate. Dei due film, infatti, uno è inutilmente intelligente, l’altro intelligentemente inutile.

Inutilmente intelligente “Le seduttrici” di Mike Barker, interpretato da Scarlett Johansson ed Helen Hunt.
Intelligentemente inutile “Thank your for smoking” di Jason Reitman con Aaron Eckhart.

Il primo è la trasposizione sulla Costiera Amalfitana, negli Anni Trenta, della commedia di Oscar Wilde “Il ventaglio di Lady Windermare”. Deliziosa pièce, praticamente un’infilata di aforismi del grande, immenso irlandese, che “sono” la sceneggiatura.

Dunque un fuoco d’artificio di crudeltà shakerata con l’amara saggezza e la sofferenza in chiffon che hanno contraddistinto tutti i lavori di Wilde. D’intelligenza, quindi, scoppiettante, ben sorretta dalla grande (a nostro avviso) e molto sottovalutata ad Hollywood Helen Hunt nei costumi (e malcostumi) di una mondana d’alto bordo costretta a lasciare New York perché inseguita da una muta di mogli tradite e inferocite. Approdata sulla nostra costiera a caccia di nuove prede sposate da sedurre e spolpare, incrocia i neosposi Robert e Meg Windermere.

Lui un belloccio monoespressivo, lei la (a nostro avviso) molto, ma molto sopravvalutata Scarlett Johansson che, oltre a stare particolarmente male con gli abiti dell’epoca, che donavano solo a quelle sottili come giunchi, ma ingoffavano spietatamente le curvilinee con eccessi di generosità da parte di madre natura, sembra avere solo due registri di recitazione: con il broncio e senza il broncio. Poco.

La vicenda è integralmente fedele alla pièce. Il piccolo, ottuso, asfittico mondo degli aristocratici britannici che svernano in costiera (tutti attori tanto a noi ignoti quanto eccelsi) mette la nuova arrivata contemporaneamente al bando e sotto la lente d’ingrandimento della propria pettegola fannulloneria, scoprendo, così, un sospetto via vai del giovane e ricco Windermere dalla (nuova) villa della femme fatale.

Tutti presumono di sapere, fuorché la moglie, cui la Johansson offre una credibilissima maschera di tontoleria. Fin tanto che lo scandalo, inevitabilmente, esplode, e i sentimenti implodono, perché per Wilde mai nulla va preso con eccessiva serietà, “fuorché il superfluo” (come amava dire). Così, quindi, la signora Windermare, ritenendosi tradita fa uno shopping sfrenato, e la signora Erlynne, causa d’ogni lacrima e oggetto d’ogni possibile maldicenza, fa una piroetta che confonde le carte nel sottofinale, con grande delizia dello spettatore e sconcerto degli inglesi benpensanti.

Happy end dolce-amaro, come nello stile dello “sceneggiatore”, ma tutto ciò pare ancora più fatuo e inutile, a tratti persino stupido, a causa dell’ambientazione forzata, sotto un sole scintillante, con annesso scugnizzo di serie, e una sciatteria nei particolari che avrebbe fatto piangere calde lacrime a Luchino Visconti, cui pure – a tratti – il regista parrebbe volersi ispirare.

Insomma il consiglio è: leggetevelo, sarà ugualmente intelligente e nient’affatto inutile.


Intelligentemente inutile ci è parso invece il molto osannato da quasi tutta la critica “Thank you for smoking”, una non-storia con una delle peggiori fotografie viste sul grande schermo quando il film è americano (quella fotografia sciatta, grigiastra di certi film tristissimi prodotti da noi negli Anni Settanta).

La non-storia è quella di Nick Naylor (Aarin Eckhart, del quale si può dire che ha il più bel ciuffo biondo made in USA dopo quello di Robert Redford, e un’adorabile fossetta, ma ciònonostante non è né sufficientemente bello – occhi piccoli e ravvicinati – né sufficientemente bravo o carismatico da meritare di essere ricordato in futuro) affabulatore di gran classe al soldo delle multinazionali del tabacco.

Lui va ai talk shows dove gli oppongono bambini malati di cancro causa fumo e riesce a venirne fuori simpatico e convincente. Lui porta una valigia di dollari all’ex Marlboro man in stato terminale causa fumo per convincerlo a non deporre contro le multinazionali, e il figlioletto che si è portato appresso lo guarda come se fosse Superman.

Propone di rilanciare il fumo attraverso i films, ricordando al proprio capo che, negli Anni Quaranta, non c’era star che non fumasse – languidamente, da macho o da vamp, nervosamente, giocosamente – in ogni pellicola, e incontra ad Hollywood un irriconoscibile Robert Lowe (lo ricordate?
Era uno dei belli della generazione di Matt Dillon) tirato e collagenato e botoxato sino alla perversione, che gli riconosce un Q.I. da genio. Un ininterrotto funambolismo di parole, insomma, con zero zeresimi di azione ma l’aspirazione di fare un film “politically uncorrect”, anche se, giusto alla fine, cade nella tentazione del pistolotto moralizzatore, perché il cinico lobbista molla il tabacco per un altro tipo di minaccia alla salute di cui ancora non si sa, invero molto.

Intelligentemente inutile perché l’idea sarebbe anche stata buona, ma 1 ora e 32’ di chiacchiere, per quanto farcite di autocompiaciuto brio, è davvero troppo.
Insomma il consiglio è: se avete un pomeriggio o una serata da dedicare all’umorismo intelligente affittatevi il DVD “The producers”, con Uma Thurman come non l’avete mai vista, e il ritorno di Matthew Broderick, assolutamente geniale rifacimento della commedia di Mel Brooks, che vi farà ridere fino alle lacrime. Con il plus valore di farvi sentire anche molto, molto intelligenti.