Dopo l'Amleto, col Don Giovanni, Filippo Timi continua il suo percorso di riscrittura e di reintepretazione intervenendo su un testo classico con quella carica di humor nero che fa presagire la morte, tanto che il suo Don Giovanni sa già di dover morire: conosce la sua fine, deve semplicemente rincorrerla.
E' il prototipo di un'umanità volubile, che ha fame di potere, che ama la mistificazione e l'autoinganno proprio perché sa che è condannata ad estinguersi, che non potrà esimersi dal suo appuntamento con la morte. Egli ha capito che la vita è ingiusta, una farsa che si trasforma in tragedia, e che la vita è giustificata solo dalla morte.
Questa consapevolezza lo trattiene, non lo fa bruciare, benché desideri bruciare, essendo convinto che un desiderio morto non è più un desiderio.
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